venerdì 17 maggio 2013

ALEX LAURA MATTEO (CON 1 ANNO IN PIU) E BENEDETTA

Quando si dice che la fede è una esperienza spirituale, per molti questo automaticamente fa pensare a qualcosa di staccato dalla realtà concreta e di molto intimo e individuale.
Qualche giorno fa ho ascoltato per radio una intervista fatta ad un prete che svolge il suo ministero in una zona ad alta concentrazione di clan mafiosi. Dopo aver spiegato la sua esperienza di lotta quotidiana per il riscatto sociale del territorio, gli veniva posta la domanda su quale fosse la reazione dei mafiosi nei suoi confronti.
Lui ra risposto che veniva continuamente invitato dai vari boss (con sottile ma concreta minaccia) ad occuparsi delle cose della religione e di fare il prete, lasciando quindi perdere quello che stava facendo di concreto nella lotta contro la mafia.
Forse tutti istintivamente rifiutiamo questa minaccia e ci mettiamo dalla parte di questo prete e di tanti altri preti antimafia.
Ma non è detto che la nostra mentalità e il nostro modo di concepire la fede cristiana sia davvero distante da quella dei mafiosi che minacciano il sacerdote.
Non è detto che forse anche noi, in fondo, pensiamo che la religione sia una cosa che ha a che fare con qualcosa di intimo e personale, e la cui manifestazione concreta sia solamente l'andare in Chiesa la domenica.
Rischiamo davvero di pensare che Dio è esclusivamente in chiesa e nel cuore, ma non nel lavoro, nelle scelte quotidiane che facciamo, nei problemi della nostra città, nelle contraddizioni del mondo che viviamo...
È bene dunque rileggere il brano del giorno della Pentecoste, così come Luca ce lo racconta nel libro degli Atti all'inizio del capitolo secondo.
I discepoli, radunati nel cenacolo, sono in una gabbia di paura e di paralisi spirituale. Hanno tutti gli elementi fondamentali dell'esperienza cristiana, perché hanno conosciuto personalmente Gesù, lo hanno ascoltato e hanno la memoria dei suoi gesti, e ora sanno che è anche risorto. Manca loro solo la forza di uscire e diventarne testimoni veri, superando la tentazione di chiudersi nel privato e di lasciare il mondo fuori.
Ecco che la loro prima esperienza spirituale è descritta come un rombo e un fuoco.
Lo Spirito è qualcosa che spalanca le porte, e letteralmente "lancia" i discepoli nel mondo, chiamati a comunicare a tutti l'esperienza di Cristo.
Come dice Giovanni nel suo Vangelo, lo Spirito Santo entra nel profondo dei discepoli per ricordare le parole di Gesù e l'esperienza fatta con lui. E' un ricordo che si tramuta in testimonianza concreta.
Non rimane qualcosa di nascosto, ma si manifesta prima di tutto nello stile concreto di unità nella comunità dei credenti.
I cristiani mostrano Dio proprio nell'amore che hanno tra di loro e che trasmettono al mondo.
I cristiani che vivono dello Spirito hanno la possibilità di non rimanere insignificanti, ma al contrario, possono cambiare il mondo, rendendolo sempre più come Gesù ha insegnato.
Se abbiamo la tentazione di pensare che in fondo la fede è qualcosa di solamente personale e profondo, siamo davvero a rischio di spegnere lo Spirito Santo che in realtà ci vuole "lanciare" nel mondo per cambiarlo, senza la paura delle nostre e altrui fragilità e limiti.


Essere dunque spirituali, è l'esatto opposto di essere distaccati dal mondo e chiusi in se stessi in compagnia di Dio e basta.
Essere spirituali è pensare che il mondo ci è affidato in ogni suoi aspetto perché diventi Regno di Dio, cioè regno di pace, amore, solidarietà, perdono... e che noi possiamo-dobbiamo fare qualcosa.
Questo prete antimafia che accetta di uscire dalla sacrestia e di sfidare i mafiosi sul terreno concreto della vita quotidiana, è dunque un esempio di profonda spiritualità, di vita guidata dallo Spirito.
Quindi venire a messa è inutile?
Non è certo questo che voglio far passare. Penso invece che proprio la messa domenicale, dove continuamente scende lo Spirito invocato, sia la principale occasione di farci "lavorare dentro" dallo Spirito, con la consapevolezza che questo lavoro interiore, personale e comunitario, ci porta ad uscire con il desiderio di fare qualcosa e di non lasciare a qualcun altro il nostro compito di annuncio e di testimonianza.

Nessun commento:

Posta un commento