lunedì 20 novembre 2017

CORRESPONSABILITÀ COME STORIA DI SALVEZZA







La Chiesa ha celebrato, vissuto, e testimoniato un’esperienza senza precedenti (almeno negli ultimi mille anni) della sua Storia di salvezza: Il Concilio Vatiano II. Montagne di libri sono stati scritti su questo altissimo avvenimento, e montagne se ne scriveranno ancora, ma a più di 50 anni dalla sua chiusura se n’è capito ancora poco, o meglio, il Concilio non ha avuto,credo, la recezione che avrebbe dover avuto. Ancor oggi le nostre Chiese stentano a recepire e vivere tutta quell’ondata di freschezza spirituale (e, in un certo senso, di ritorno alle origini) che i venti dello Spirito Santo hanno immesso nei documenti finali: Costituzioni, Decreti, Dichiarazioni.
Si è scritto molto, moltissimo, forse troppo...in termini di Piani Pastorali, Progetti di rinnovamento liturgico, Strutture e beni materiali. L’impressione che ho è quella che ancora oggi si faccia fatica, molta fatica, a leggere la Storia di salvezza (e a scriverne le sue modifiche) alla luce dei documenti conciliari.       
Non si tratta qui di esprimere giudizi di valore ne di merito, ma mi incuriosiscono e, allo stesso tempo, mi fanno riflettere le diverse posizioni; alcune veramente preoccupanti. C’è chi pensa che sia stato un appena un “incidente di percorso”, chi ne fa una nota in calce dentro l’evoluzione normativa della Chiesa e chi è convinto che si possa fare a meno dei suoi contenuti di fede, di dottrina e di teologia. Da questi atteggiamenti può nascere un cristianesimo carente di senso della Chiesa e di reale attenzione al mondo e alla storia, ancora fortemente clericale dove i laici continuano a dimostrare una scarsa consapevolezza delle loro responsabilità e delle loro potenzialità. Per dirla con le parole di Giorgio Campanini:
“Passare da una pastorale incentrata sul luogo ad una che affianchi alla permanente attenzione al territorio una coraggiosa immersione negli ambienti di vita -fabbriche, caserme, discoteche, università – (una nuova evangelizzazione) richiede una non semplice né facile conversione; esige, soprattutto, l’individuazione di nuove figure di evangelizzatori che non potranno, di fatto, che essere laici, uomini e donne. In questo senso la comunità cristiana deve imparare a respirare a due polmoni, quello del radicamento territoriale e quello della presenza negli ambienti di vita. Ma ciò non potrà avvenire se l’evangelizzazione sarà incentrata pressoché esclusivamente sulle figure presbiterali.  Non si tratta dunque di operare una pura e semplice operazione di ristrutturazione organizzativa (pericolo che corrono oggi le Unità Pastorali  - corsivo mio), rivedendo i confini e l’organizzazione delle parrocchie in funzione del nuovo contesto culturale, ma di ripensare il ruolo della parrocchia nella prospettiva di una “nuova evangelizzazione”.(¹).
Continuando su questa linea mi sembra interessante proporre altre due riflessioni:
Uno stile di vita, per noi cristiani, che si assomiglia di più a quello delle origini. Se ripercorriamo la Storia della Chiesa non è difficile trovare nella proposta generata dal Concilio un maggior senso della povertà che si fa strada non come e solo “valore teologico” ma, penso, soprattuto come “dimensione cristologica” ovvero insostituibile e incancellabile. È un’esigenza che ci richiama alle origini, agli stili di vita semplici dei primi cristiani e ci permette di riappropriarci, come cristiani, del primato dei rapporti interpersonali e dal distacco dalle cose.  In questa prospettiva di una Chiesa che vuole essere povera ad immagine del Povero gli stili di vita dei laici cristiani (ma non solo di loro) saranno decisivi e determinanti: non penso sia esagerato dire che ci giocheremo la credibilità della Chiesa sulla esigenza della povertà evangelica.
Un coinvolgimento non solo “esecutivo/pratico”, ma “pensante/programmatico” dei laici. Siamo ancora lontani dal poter affermare che i laici criastiani hanno trovato e fatto loro il “senso della Chiesa” e la loro appartenenza attiva e propositiva nel suo cammino, ma il Concilio ci ha dato strumenti bellissimi e profondissimi per lavorare su questo aspetto che, penso, è determinate perchè si possa parlare di Chiesa nel modo giusto e di intenderla e viverla nelle nostre Comuità/Unità Pastorali. Ancora oggi è presente, tra la maggioranza delle persone che si dichiarano cristiane, un’intendimento sbagliato. Facciamo, a chi viene a Messa alla Domenica, due domande:  Chi fa la Messa? Chi è il missionario? La risposta del 98% delle persone sarà la stessa: il prete fa la Messa e il missionario sono preti e religiosi. Noi sappiamo bene che non è cosÌ. L’Eucaristia non la fa il prete ma la comunità riunita, il prete la presiede (che è ben differente). Senza Comunità non c’’è Eucaristia come senza il prete (nella nostra tradizione cristiana cattolica) non c’è Eucaristia. E il missionario? Tutti siamo missionari, laici compresi. E non è necessario andare in terre lontane per essere dei missionari, lo siamo nelle nostre terre, nei nostri ambienti di vita, in mezzo a persone conosciute e non conosciute. Continua, oggi, ad esistere la tentazione di voler credere che il missionario sia un altro (o un’altra) per non farci assumere le nostre responsabiltà nei luoghi dove viviamo quotidianamente la nostra fede. 
Mi  rendo conto che questi sono proprio pensiere sparsi, ma credo che possano aiutare per una riflessione personale sul modo di essere nella Chiesa e sulla necessità di non “accomodarmi” alle mie pratiche religiose che, molto spesso, si limitano alla partecipazioe (passiva purtroppo e senza la comprensione piena degli atti liturgici) alla Messa domenicale. Come disse qualcuno:  “Occorre scuotere e sollecitare le coscienze prima di preoccuparsi di riempire le chiese”.
Non lasciamo che la Chiesa siano “solo” gli altri: preti, diaconi e religiosi. La Chiesa è il Popolo di Dio dove dentro non possono non essereci i laici, tutti i laici che credono al Vangelo del Signore Gesù Cristo e si lasciano da Lui coinvolgere per essere quel fermento nella massa dove clero e religiosi non riescono (e non devono neanche, per la loro specifica vocazione) ad arrivare.

(¹) Saverio Xeres, Giorgio Campanini; Manca Il Respiro, un prete e un laico riflettono sulla Chiesa italiana; ANCORA, 2011, pag 91-92.

Miguel Calmon, 20 di novembre 2017
Gianluca Guidetti     







sabato 4 novembre 2017

DAL VIAGGIO IN ITALIA DI DON LUIGI FERRARI





Scrivo due righe per dire un po’ del tempo passato in Italia e anche il rientro in Brasile. Questo per me è anche un anniversario l’anno scorso come oggi arrivavo in Bahia, con un po’ di timore ma anche con la voglia di immergermi in questa realtà.

Le mie vacanze in Italia sono state un po’ tutte di corsa, ma sono riuscito a vedere e salutare un po’ di persone. E’ stato bello vedere la mamma, essere riconosciuto, è sempre ben curata a Fontanaluccia. Poi la vita dell’Ospizio e della Macchiaccia; incontrare le comunità dell’Alta Val Dolo e Val d’Asta. In particolare Febbio dopo una estate particolarmente affollata. Bello incontrare i Fratelli e le Sorelle della Casa della Carità. Partecipare al ritiro degli ospiti, momento alto è stata la grande Festa del 15 di ottobre: le professioni perpetue, i crocifissi, le promesse e quelle danze che mettono nella liturgia il senso dell’incanto. Ho concelebrato anche all’ordinazione dei diaconi, in particolare Pietro, marito di Chiara mia cugina. Ho visto il vescovo Massimo, che mi ha chiesto un po’ della missione. Ho avuto la possibilità di avvicinare alcune persone nel loro contesto, fa capire meglio gioie e sofferenze che stanno passando. Altro momento forte è stato il mandato missionario diocesano ai partenti per il Madagascar e alle due Sorelle che vengono in Brasile Ir. Alessandra e Ir. Josiane, con il mandato per la Casa da Caridade de Ruy Barbosa. Una chiesa quella reggiana, come anche nella nostra famiglia religiosa, si sente il bisogno di un rinnovamento sia nelle strutture, vedi le unità pastorali, ma anche anche nel cuore e nella mente, nel portare un annuncio nuovo per questo tempo. Lunedì scorso il viaggio di ritorno con Ir. Alessandra e Luca, un ragazzo  adottato che viene in Brasile per riconoscere mamma e papà naturali.  In questa prima settimana ho partecipato della festa in una nostra parrocchia Bonito, NS do Perpetuo Socorro, ben partecipata; ho visitato con Giairo ammalati e anziani della città.  Il sabato in Utinga c’è stato un incontro pubblico con autorità, agricoltori e popolazione; si è parlato del fiume Utinga che, come successo all’inizio di quest’anno per la seca, ad un certo punto del suo percorso rimane senz’acqua.
A soffrire per questo sono le comunità e gli assestamenti di riforma agraria che sono ad una trentina di km dalla sorgente. Per questo il governo dello stato della Bahia ha costretto i piccoli produttori che usano l’acqua del fiume a sospendere di irrigare; la maggioranza sono orti e in particolare le piantagioni di banane. Una pianta di banana per produrre molto ha bisogno di 30 litri di acqua al giorno, e le aree irrigate per questa piantagione sono cresciute moltissimo, così il fiume che ha anche una bella portata non riesce più ad avere acqua sufficiente. Nel dibattito pubblico però non si è arrivati a mettere il dito sulla piaga, ma si sono solo sentite le voci dei produttori che vogliono usare l’acqua per produrre. Domenica scorsa c’é stata anche la giornata dedicata ai giovani di tutta la diocesi ad Ipirà, una camminata fino ad uno spazio grande preparato per la celebrazione della messa, poi musica, danze e drammatizzazioni.
Il tema del DNJ è stato: “Giovani in difesa della vita dei popoli e della madre terra”, uno degli aspetti che sono stati sottolineati è la violenza che subiscono i giovani, tanti sono assassinato, in particolare negri e poveri. Bella la partecipazione e l’animazione anche se la giornata è stata veramente molto calda.
In questi giorni dalla Casa di Ruy Barbosa ci sono molti cambiamenti: sono partite due sorelle ir. Maddalena, che dopo tre anni, è andata in congé, tre mesi in Madagascar; in Italia Ir. Pamela, che si è un po’ brasilianizzata in questo tempo passato qui, ed è stata anche eletta consigliera. Gleide ha lasciato il lavoro e ricomincia in casa, un periodo di discernimento vocazionale; poi è arrivata a dar man forte dall’Italia Alessandra di Modena, ausiliare di Vitriola. Vi affido nella preghiera una ragazza giovane, si chiama Vanessa, é di una piccola comunità Catuabinha, ha fatto una promessa a Santa Lucia, dopo aver perduto la vista per un distacco della retina, malcurato anche dai medici; ha 20 anni e un bimbo di un anno e mezzo.  
Utinga 2/11/2017
 pe. Luis