venerdì 22 dicembre 2017

NATALE 2017 DALLA BAHIA



Pe Luis Ferrari
 Mi ha colpito l’altro giorno una espressione di una ragazza che alla fine della messa ha presentato la sua bimba. Le ho chiesto se era la prima, e mi ha risposto : “ Se Deus perimetir a ultima”. Cosi ho pensato e poi mi hanno confermato, che  per avere questa bimba deve aver sofferto, molto al punto di non volerne più sapere. Ma quel “Se Dio permette” mi è rimasto nel cuore Dio veramente permette la vita. Anche quest’anno arriva il Natale, così vediamo che Dio non si è stancato della nostra umanità ma sempre vuole nascere, farsi bambino, rischiare la sua vita di Dio per noi, vivere nei nostri paesi e città. Ma anche noi permettiamo a Lui di nascere, di crescere, di abitare la nostra vita?  Penso a due famiglie incontrate in questi giorni che ci avvicinano al Natale. Una è una famiglia di Eleane, abita in Wagner, con Antonietta sono andata a trovarla: ha appena dato alla luce due gemelli Erik e Elisa, la bimba poco più di 2 Kg e mezzo, il bimbo è più robusto. Un’altra figlia sulla ventina ha anche lei una piccola criança di 6 mesi. 

Poveri senza molta condizione, nessuno battezzato, un presepio vivente; si Gesù è venuto anche per condividere la loro vita. In Utinga sono andata a casa di Anna, una signora sulla settantina, si cura di un figlio disagiato mentale, e di una piccola Julia Vitoria, la bimba piccola due anni, avuta dalla figlia che è morta di parto quando è nata. Anna in questi giorni ha perso una nipote Branca, di 20 anni, che è stata uccisa dal compagno; chiamarlo compagno è una esagerazione. Anna porta questo dolore con dignità e non vuole che i suoi parenti si vendichino dell’accaduto, ma solo si compia giustizia; nel suo piccolo la fede in Dio la sostiene. Nelle nostre comunità la novena del Natale si prepara nelle famiglie, e spesso si sceglie quelle che non partecipano, si legge la scrittura si canta e si prega, preparando la venuta di Gesù. In Utinga abbiamo fatto la celebrazione ricordando i 130 della parrocchia, Senhor Bom Jesus da Boa Esperança, tre giorni per fare memoria: la vita della chiesa intrecciata con la vita del popolo, il bene che in questi anni attraverso i doni di Dio si è vissuto. La croce di Senhor Bom Jesus che ha accompagnato questa storia, segnata anche dal nome stesso del fiume: Utinga das Aguas Claras; abitata prima dagli indios Payaya e poi sulle rive del fiume dalla gente che piano piano si é stanziata. 

Domenica 26 novembre abbiamo fatto la messa campale, nel paesino di Riachao, dove è iniziata la parrocchia; e assieme alle celebrazioni si è fatta una mostra con oggetti e foto di persone che ricordano la storia di questi anni.  Sempre in novembre abbiamo partecipato alla Assemblea diocesana, dove si è verificato il cammino pastorale dell’anno e poi si sono scelte le priorità del nuovo anno. Interessante l’analisi della congiuntura economica sociale del Brasile attuale, dove si coglie che non finisce mai una storia che inizia come colonia portoghese, dove si sviluppa con la schiavitù, e dove non si finisce di cavare dalla terra i vari tesori: legna, zucchero, oro, e adesso la soya e gli altri prodotti della agricoltura. Ma il Brasile è un paese con una importanza grande da un punto di vista geografico e strategico: per la tanta terra ancora coltivabile e per avere nei suoi confini il 13% dell’acqua dolce del pianeta. Questa ricchezza della biodiversità, e anche delle risorse naturali, diventano un patrimonio che se non si riesce bene a curare e coltivare diventa una maledizione. Nello scegliere le priorità diocesane si conferma la difesa della vita e delle casa comune: incentivare la campagna per la preservazione dei fiumi, e anche azioni che promuovano la pace. Qui credo anche nella nostra parrocchie si intuisce dove sta la posta in palio per il futuro: cambiare un modello di agricoltura che consuma molta acqua e usa fertilizzanti e veleni che inquinano l’acqua del fiume. Il prossimo anno quindi cercheremo di approfondire la enciclica “Laudato si” e promuover l’agro-ecologia per la salvaguardia del creato e delle famiglie più povere che vivono ai margini del fiume.

Alla Casa della Carità di Ruy Barbosa, tutti bene, c’è stata la festa di Santa Lucia, la cresima dei ragazzi che frequentano la APae: un gruppo che si cura di ragazzi svantaggiati, dando loro dignità e facendoli fare varie attività. In questi giorni ci ha salutato Priscila, dopo un bel periodo passato alla casa, ha deciso di tornare alla sua attività di psicologa; è stata una bella presenza e senz’altro annuncerà lo spirito della casa nel sua vita.   Deus menino vos abençoe Feliz Natal!
Ciao Un abraço
Pe. Luis

lunedì 20 novembre 2017

CORRESPONSABILITÀ COME STORIA DI SALVEZZA







La Chiesa ha celebrato, vissuto, e testimoniato un’esperienza senza precedenti (almeno negli ultimi mille anni) della sua Storia di salvezza: Il Concilio Vatiano II. Montagne di libri sono stati scritti su questo altissimo avvenimento, e montagne se ne scriveranno ancora, ma a più di 50 anni dalla sua chiusura se n’è capito ancora poco, o meglio, il Concilio non ha avuto,credo, la recezione che avrebbe dover avuto. Ancor oggi le nostre Chiese stentano a recepire e vivere tutta quell’ondata di freschezza spirituale (e, in un certo senso, di ritorno alle origini) che i venti dello Spirito Santo hanno immesso nei documenti finali: Costituzioni, Decreti, Dichiarazioni.
Si è scritto molto, moltissimo, forse troppo...in termini di Piani Pastorali, Progetti di rinnovamento liturgico, Strutture e beni materiali. L’impressione che ho è quella che ancora oggi si faccia fatica, molta fatica, a leggere la Storia di salvezza (e a scriverne le sue modifiche) alla luce dei documenti conciliari.       
Non si tratta qui di esprimere giudizi di valore ne di merito, ma mi incuriosiscono e, allo stesso tempo, mi fanno riflettere le diverse posizioni; alcune veramente preoccupanti. C’è chi pensa che sia stato un appena un “incidente di percorso”, chi ne fa una nota in calce dentro l’evoluzione normativa della Chiesa e chi è convinto che si possa fare a meno dei suoi contenuti di fede, di dottrina e di teologia. Da questi atteggiamenti può nascere un cristianesimo carente di senso della Chiesa e di reale attenzione al mondo e alla storia, ancora fortemente clericale dove i laici continuano a dimostrare una scarsa consapevolezza delle loro responsabilità e delle loro potenzialità. Per dirla con le parole di Giorgio Campanini:
“Passare da una pastorale incentrata sul luogo ad una che affianchi alla permanente attenzione al territorio una coraggiosa immersione negli ambienti di vita -fabbriche, caserme, discoteche, università – (una nuova evangelizzazione) richiede una non semplice né facile conversione; esige, soprattutto, l’individuazione di nuove figure di evangelizzatori che non potranno, di fatto, che essere laici, uomini e donne. In questo senso la comunità cristiana deve imparare a respirare a due polmoni, quello del radicamento territoriale e quello della presenza negli ambienti di vita. Ma ciò non potrà avvenire se l’evangelizzazione sarà incentrata pressoché esclusivamente sulle figure presbiterali.  Non si tratta dunque di operare una pura e semplice operazione di ristrutturazione organizzativa (pericolo che corrono oggi le Unità Pastorali  - corsivo mio), rivedendo i confini e l’organizzazione delle parrocchie in funzione del nuovo contesto culturale, ma di ripensare il ruolo della parrocchia nella prospettiva di una “nuova evangelizzazione”.(¹).
Continuando su questa linea mi sembra interessante proporre altre due riflessioni:
Uno stile di vita, per noi cristiani, che si assomiglia di più a quello delle origini. Se ripercorriamo la Storia della Chiesa non è difficile trovare nella proposta generata dal Concilio un maggior senso della povertà che si fa strada non come e solo “valore teologico” ma, penso, soprattuto come “dimensione cristologica” ovvero insostituibile e incancellabile. È un’esigenza che ci richiama alle origini, agli stili di vita semplici dei primi cristiani e ci permette di riappropriarci, come cristiani, del primato dei rapporti interpersonali e dal distacco dalle cose.  In questa prospettiva di una Chiesa che vuole essere povera ad immagine del Povero gli stili di vita dei laici cristiani (ma non solo di loro) saranno decisivi e determinanti: non penso sia esagerato dire che ci giocheremo la credibilità della Chiesa sulla esigenza della povertà evangelica.
Un coinvolgimento non solo “esecutivo/pratico”, ma “pensante/programmatico” dei laici. Siamo ancora lontani dal poter affermare che i laici criastiani hanno trovato e fatto loro il “senso della Chiesa” e la loro appartenenza attiva e propositiva nel suo cammino, ma il Concilio ci ha dato strumenti bellissimi e profondissimi per lavorare su questo aspetto che, penso, è determinate perchè si possa parlare di Chiesa nel modo giusto e di intenderla e viverla nelle nostre Comuità/Unità Pastorali. Ancora oggi è presente, tra la maggioranza delle persone che si dichiarano cristiane, un’intendimento sbagliato. Facciamo, a chi viene a Messa alla Domenica, due domande:  Chi fa la Messa? Chi è il missionario? La risposta del 98% delle persone sarà la stessa: il prete fa la Messa e il missionario sono preti e religiosi. Noi sappiamo bene che non è cosÌ. L’Eucaristia non la fa il prete ma la comunità riunita, il prete la presiede (che è ben differente). Senza Comunità non c’’è Eucaristia come senza il prete (nella nostra tradizione cristiana cattolica) non c’è Eucaristia. E il missionario? Tutti siamo missionari, laici compresi. E non è necessario andare in terre lontane per essere dei missionari, lo siamo nelle nostre terre, nei nostri ambienti di vita, in mezzo a persone conosciute e non conosciute. Continua, oggi, ad esistere la tentazione di voler credere che il missionario sia un altro (o un’altra) per non farci assumere le nostre responsabiltà nei luoghi dove viviamo quotidianamente la nostra fede. 
Mi  rendo conto che questi sono proprio pensiere sparsi, ma credo che possano aiutare per una riflessione personale sul modo di essere nella Chiesa e sulla necessità di non “accomodarmi” alle mie pratiche religiose che, molto spesso, si limitano alla partecipazioe (passiva purtroppo e senza la comprensione piena degli atti liturgici) alla Messa domenicale. Come disse qualcuno:  “Occorre scuotere e sollecitare le coscienze prima di preoccuparsi di riempire le chiese”.
Non lasciamo che la Chiesa siano “solo” gli altri: preti, diaconi e religiosi. La Chiesa è il Popolo di Dio dove dentro non possono non essereci i laici, tutti i laici che credono al Vangelo del Signore Gesù Cristo e si lasciano da Lui coinvolgere per essere quel fermento nella massa dove clero e religiosi non riescono (e non devono neanche, per la loro specifica vocazione) ad arrivare.

(¹) Saverio Xeres, Giorgio Campanini; Manca Il Respiro, un prete e un laico riflettono sulla Chiesa italiana; ANCORA, 2011, pag 91-92.

Miguel Calmon, 20 di novembre 2017
Gianluca Guidetti     







sabato 4 novembre 2017

DAL VIAGGIO IN ITALIA DI DON LUIGI FERRARI





Scrivo due righe per dire un po’ del tempo passato in Italia e anche il rientro in Brasile. Questo per me è anche un anniversario l’anno scorso come oggi arrivavo in Bahia, con un po’ di timore ma anche con la voglia di immergermi in questa realtà.

Le mie vacanze in Italia sono state un po’ tutte di corsa, ma sono riuscito a vedere e salutare un po’ di persone. E’ stato bello vedere la mamma, essere riconosciuto, è sempre ben curata a Fontanaluccia. Poi la vita dell’Ospizio e della Macchiaccia; incontrare le comunità dell’Alta Val Dolo e Val d’Asta. In particolare Febbio dopo una estate particolarmente affollata. Bello incontrare i Fratelli e le Sorelle della Casa della Carità. Partecipare al ritiro degli ospiti, momento alto è stata la grande Festa del 15 di ottobre: le professioni perpetue, i crocifissi, le promesse e quelle danze che mettono nella liturgia il senso dell’incanto. Ho concelebrato anche all’ordinazione dei diaconi, in particolare Pietro, marito di Chiara mia cugina. Ho visto il vescovo Massimo, che mi ha chiesto un po’ della missione. Ho avuto la possibilità di avvicinare alcune persone nel loro contesto, fa capire meglio gioie e sofferenze che stanno passando. Altro momento forte è stato il mandato missionario diocesano ai partenti per il Madagascar e alle due Sorelle che vengono in Brasile Ir. Alessandra e Ir. Josiane, con il mandato per la Casa da Caridade de Ruy Barbosa. Una chiesa quella reggiana, come anche nella nostra famiglia religiosa, si sente il bisogno di un rinnovamento sia nelle strutture, vedi le unità pastorali, ma anche anche nel cuore e nella mente, nel portare un annuncio nuovo per questo tempo. Lunedì scorso il viaggio di ritorno con Ir. Alessandra e Luca, un ragazzo  adottato che viene in Brasile per riconoscere mamma e papà naturali.  In questa prima settimana ho partecipato della festa in una nostra parrocchia Bonito, NS do Perpetuo Socorro, ben partecipata; ho visitato con Giairo ammalati e anziani della città.  Il sabato in Utinga c’è stato un incontro pubblico con autorità, agricoltori e popolazione; si è parlato del fiume Utinga che, come successo all’inizio di quest’anno per la seca, ad un certo punto del suo percorso rimane senz’acqua.
A soffrire per questo sono le comunità e gli assestamenti di riforma agraria che sono ad una trentina di km dalla sorgente. Per questo il governo dello stato della Bahia ha costretto i piccoli produttori che usano l’acqua del fiume a sospendere di irrigare; la maggioranza sono orti e in particolare le piantagioni di banane. Una pianta di banana per produrre molto ha bisogno di 30 litri di acqua al giorno, e le aree irrigate per questa piantagione sono cresciute moltissimo, così il fiume che ha anche una bella portata non riesce più ad avere acqua sufficiente. Nel dibattito pubblico però non si è arrivati a mettere il dito sulla piaga, ma si sono solo sentite le voci dei produttori che vogliono usare l’acqua per produrre. Domenica scorsa c’é stata anche la giornata dedicata ai giovani di tutta la diocesi ad Ipirà, una camminata fino ad uno spazio grande preparato per la celebrazione della messa, poi musica, danze e drammatizzazioni.
Il tema del DNJ è stato: “Giovani in difesa della vita dei popoli e della madre terra”, uno degli aspetti che sono stati sottolineati è la violenza che subiscono i giovani, tanti sono assassinato, in particolare negri e poveri. Bella la partecipazione e l’animazione anche se la giornata è stata veramente molto calda.
In questi giorni dalla Casa di Ruy Barbosa ci sono molti cambiamenti: sono partite due sorelle ir. Maddalena, che dopo tre anni, è andata in congé, tre mesi in Madagascar; in Italia Ir. Pamela, che si è un po’ brasilianizzata in questo tempo passato qui, ed è stata anche eletta consigliera. Gleide ha lasciato il lavoro e ricomincia in casa, un periodo di discernimento vocazionale; poi è arrivata a dar man forte dall’Italia Alessandra di Modena, ausiliare di Vitriola. Vi affido nella preghiera una ragazza giovane, si chiama Vanessa, é di una piccola comunità Catuabinha, ha fatto una promessa a Santa Lucia, dopo aver perduto la vista per un distacco della retina, malcurato anche dai medici; ha 20 anni e un bimbo di un anno e mezzo.  
Utinga 2/11/2017
 pe. Luis


sabato 21 ottobre 2017

I POLITICI E IL BEIJU






Che cosa sta succedendo in Brasile? Una Nazione con 200.000 millioni di abitanti, un’estensione di 28 volte quella dell’Italia, una classe politica insignificante e senza dubbio non all’altezza del compito che le è stato affidato e che le viene chiesto dalla popolazione.
Non ci sono dubbi sull’incapacità del Presidente della Repubblica Michel Temer de saper governare il Paese. Se guardiamo le riforme fatte fino ad ora e quelle in programma ci rendiamo conto di cosa aspetta questo popolo gialloverde.
Il comportamento è quello dei “coroneis” i signorotti dallo stile ottocentesco che dettano legge dove la legge ufficiale non c’è o non viene osservata. Propensi solo ad arrichirsi a spese dei contribuenti e della povera gente, amanti del “jeitinho” (leggi jeitigno) ovvero di risolvere le situazioni con mezzi al di fuori della legalità e dei normali procedimenti.
Il comportamento di questi politici mi fa venire alla mente il viaggio di andata e ritorno che ho fatto tra il 19 ed il 20 di ottobre per andare a trovare una suora di 91 anni, italiana, con 50 anni di Brasile e più di 30 a servizio della piccola comunità di Gangú, un borgo del Comune di Crisopolis a 250 km da Salvador, la capitale della Bahia. Come l’abbia conosciuta e perché vado la regolarmente ad ogni 4 mesi, lo racconto un’altra volta.
Sia nel viaggio di andata, di circa 5 ore di autobus, che in quello di ritorno ho “contemplato” con molta attenzione i tanti venditori ambulanti che salivano sul pullman nei momenti in cui si fermava nelle stazioni intermedie. Gente semplice che con molta dignità offriva i loro prodotti. Chi vendeva patatine, castagne secche, bibite fresche o acqua minerale. Una donna, all’apparenza mamma di famiglia, entra e annuncia “olha pessoal chegou o beiju com coco”*. Apre un contenitore in plastica e inizia a percorrere il corridoio del pullman mostrando quello che, provabilmente, aveva fatto al mattino presto prima di portare i figli a scuola. Sempre con molta educazione ed aprofittando del pochissimo tempo a disposizione prima che il pullman riparta di nuovo, cerca di vendere la sua produzione. Pochi reais, sudati, che serviranno per pagare acqua, luce, alimenti, e tutto quello di cui c’è bisogno in famiglia. Tutti i giorni la tessa cosa, è il suo modo di ricavare ONESTAMENTE il pane quotidiano per vivere.
“Tiro o chapéu para ela”** senza ombra di dubbio. E sono in molti che improvvisano un lavoro, inventano un’occupazione per poter portare a casa un po’ di soldi. Non vogliono arrendersi alla vita miserabile che i politici di turno gli propongono tagliando la Spesa Sociale, riducendo incentivi alla piccola attività artigianale, approvando politiche di riduzione dei costi che incidono pesantemente sul ceto meno abbiente. Sono persone che meritano tutto il mio rispetto e la mia ammirazione e, molto spesso, compro i loro prodotti, magari non avendo neanche fame in quel momento, ma solo per la gioia che sento subito nel cuore nel vedere il sorriso che si definisce spontaneo e bello sulla loro bocca mentre ricevono i due, tre, quattro, dieci reais a seconda del prodotto e della quantità.
Inevitabilmente in questi momenti mi tornano alla mente loro.......i politici dal nome importante: Aecio Neves (senatore appena sfuggito da un’accusa di corruzione – il Senato ha semplicemente votato no alla proposta fatta dalla Corte Costituzionale di giudicarlo per i crimini commessi). Viva l’indipendenza dei Tre poteri! Viva la Repubblica! Poi ancora Eduardo Cunha (ex presidente della Camera Federale principale artefice dell’impeachment di Dilma Rouseff), Renan Calheiros (ex presidente del Senato Fedrale), Geraldo Alkimin (Governatore attuale dello Stato di San Paolo), Inácio Lula da Silva (ex presidente della Repubblica), Otto Alencar (senatore che rappresenta la Bahia, ma certamente non gli interessi del popolo baiano), Michel Lulia Temer (attale presidente della Repubblica senza essere eletto). Questa gente ha già rubato millioni, continua a rubare millioni e ruberà millioni nel futuro se le cose non cambieranno. Soldi che appartengono al popolo brasiliano. E la nostra venditrice di beiju impiegherà non meno di 5 anni per arrivare al valore di uno stipendio mensile di questa gente.
Era Pirandello che diceva “Così è se vi pare!”?  ed Eduardo Bennato cantava: “Sono solo canzonette”. Le domande serie, però, me le pongo: è ancora valido oggi (in tutto il mondo) il modello partitico per difendere, sostenere e rafforzare la democrazia? I Partiti Politici sono ancora necessari oggi? I miei dubbi di trent’anni fa, quando con Paolo Pombeni (professore di Storia dei Partiti Politici all’Università di Scienze Politiche a Bologna) si parlava di queste cose, rimangono, anzi aumentano.
Miguel Calmon, 20 di ottobre 2017
Gianluca Guidetti     

*Tradotto: attenzione, gente è arrivato il beiju al cocco. Il beiju é una specialità tipicamente brasiliana di origine indigena scoperta nello stato del Pernambuco, fata con farina di tapioca (la fecola estratta dalla mandioca) e si può mangiare senza niente o farcire con pezzetti grattugiati di cocco o formaggio o prosciutto.
**Tirar o chepéu è un’espressione che significa letteralmente – Togliersi il cappello - . Significa dimostrare un profondo rispetto e ammirazione per una persona o per un atteggiamento/comportammento di quella persona.



   

           


lunedì 2 ottobre 2017

LE UNITÁ PASTORALI NON DEVONO FARCI PAURA, MA...







La Chiesa di Reggio Emilia e Guastalla ha fatto una scelta. Non è di oggi, lo sappiamo bene, che si parla di Unità Pastorali. Una scelta coraggiosa che, tra l’altro, ha trovato il seguito in altre Diocesi vicine alla nostra. Come battezzato, missionario e membro della Chiesa di Reggio m’interrogo sul significato di una tale scelta. Non entro nei meriti teologici e dottrinali (non saprei neanche dove andare a pescarli), ne in discorsi pastorali. Vorrei riflettere alla luce della Scrittura e provare a pensare se il modello delle Unità Pastorali è proprio quello che ci vuole per una Chiesa “in uscita” come la pensa il vescovo di Roma Francesco.
Il punto di riferimento quando si parla del vivere insieme come fedeli, per me rimane sempre quello che ci viene trasmesso dalle pagine di At 2,42-48 e At 4,32-35. È vero che col trascorrere del tempo le situazione si sono fatte più complesse, sono entrati in gioco fattori politici, economici e sociali che hanno reso necessaria la creazione del modello “Parrocchia” che, nel bene e nel male ha retto fino ai giorni nostri. La riduzione del clero locale, per me non può essere il vero motivo. Se però intraprendo questa strada il discorso diventa molto lungo, stancante e poco utile. Mi soffermo, allora, sulla scelta della nostra Chiesa. Cosa sono le Unità Pastorali? La domanda per gli addetti ai lavori è alquanto semplice e banale. Ma per la gente che si è trovata a fare  i conti con una struttura che, per ora, non ha niente di nuovo con quella della Parrocchia se non le dimensioni, ma che punta a sostituire poco alla volta la stessa Parrocchia, la risposta è piena di ma, però, perché e, forse......Il documento del settembre del 2015 - Orientamenti diocesani per le Unità pastorali – le definisce così: “All’interno della Chiesa diocesana, l’UP è la comunità cristiana che prende forma in un determinato territorio, fisicamente non troppo ampio e socialmente significativo, in cui cioè la vita quotidiana dei fedeli nelle sue dimensioni fondamentali (quali ad esempio la residenza, i servizi al cittadino, l’identità culturale…) si sviluppa; essa è costituita dalle diverse comunità locali che abitano il territorio, stabilmente congiunte tra loro nel vincolo della comunione ecclesiale; la cura pastorale unitaria, affidata a uno o più presbiteri, è a servizio dell’evangelizzazione attraverso un progetto pastorale unitario, di cui responsabile è l’intero gruppo dei fedeli, articolato nelle diverse comunità locali e guidato dal presbitero/i.” (Vedi: http://www.diocesi.re.it/wp-content/uploads/2015/10/Orientamentiper-le-unita-pastorali1.pdf).
Circolano “sotto il campanile” visioni diverse, impressioni strane di questo nuovo modo di organizzare la vita delle Comunità. Il Parrocchione, ho sentito chiamarlo più volte. Un insieme di più parrocchie ma con le stesse modalità di vita di una parrocchia: un prete responsabile (o coordinatore come volete voi) con degli aiutanti clerici; un Consiglio Pastorale, una Commissione Economica. Ci sono dubbi, punti oscuri, perplessità:
Un modello che è venuto dall’alto verso il basso: non si è fatto circolare abbastanza per essere interiorizzato dalla gente. Bello il documento che ho citato sopra, ma quanti lo hanno potuto leggere e quanti ci hanno riflettuto sopra.
Un aumento delle responsabilità per i cordinatori: non lo si vuole, ma alla fine lo si percepisce. Il coordinatore accumula maggiori impegni e mette alla prova la sua tenuta fisica e psichica.
La perdita delle tradizioni locali: la scomparsa dei Consigli Pastorali parrocchiali potrà portare a considerare meno gli aspetti locali e le esigenze delle comunità più piccole.
L’esigenza di coinvolgere e dare più incarichi ai laici: lo ritengo un punto necessario, ma qui non sviluppabile come argomento.
Bene! Si è fatto tardi. Le cose da dire e da pensare sarebbero veramente tante. Continuiamo a riflettere su questo nuovo modello iniziato dalla Chiesa di Reggio senza, però, dimenticarci che nella Chiesa delle origini al centro non c’erano le organizzazioni e i modelli, ma le persone. Per essere autentici spazi di vita cristiana le Unità Pastorali dovranno arrivare ad avere questo stile, a mettere al centro la persona. Se vinceranno questa sfida saranno un punto di riferimento per il cammino della Chiesa locale, se non la vinceranno dovremo ripensare ad un altro modello, magari nella forma opposta, non più dal piccolo al grande, ma dal piccolo al più piccolo ancora (Piccole Comunità.........).


A presto       

Miguel Calmon, 08 di ottobre 2017

Gianluca Guidetti     

martedì 26 settembre 2017

SQUARCI DI CHIESA BRASILIANA






Scrivo due righe prima di viaggiare per l’Italia, anche per fare memoria di quanto visto e ascoltato. Agosto qui in Brasile è il mese delle vocazioni. Abbiamo fatto un ritiro, buono con tutti i sacerdoti della diocesi, io sono uno dei più anziani. La diocesi di Ruy Barbosa, ha un vescovo belga Dom Andrè, e ha un clero giovane: sono 7 i sacerdoti ordinati negli ultimi 8 anni; di brasiliani che vengono da altre diocesi sono 4, di missionari ci siamo 2 spagnoli, 4 italiani e un belga. La vita consacrata è rappresentata da tre Francescani, più un monastero di Cistercensi. I giovani sono con entusiasmo nei primi anni di sacerdozio, anche se devono affrontare problemi di come attuare il ministero in situazioni alle volte di difficoltà e anche il modello di chiesa che si cerca di impostare non sempre è chiaro.
C’è un modello classico delle CEB’S comunità di base ma anche quello più legato ai movimenti carismatici e devozioniali; questo tipo di chiesa è molto alimentato dalle televisioni cattoliche. Il seminario ha 8 giovani che si stanno preparando a diventare sacerdoti e nel propedeutico ci sono tre ragazzi in cammino. La pastorale familiare dove nelle parrocchie dove funziona ha organizzato due celebrazioni di matrimoni comunitari; sono stati belle celebrazioni di Matrimoni assieme, erano stati preparati bene; anche qui le 6 spose, come succede in tutto il mondo, si sono fatte aspettare. Da un punto di vista pastorale si vede il bisogno di dar valore alla famiglia e rafforzare il vincolo col sacramento in questo contesto culturale segnato da un grande individualismo e dalla mancanza di responsabilità in assumere totalmente il coniuge. Evento importante nella diocesi un incontro con a tema la catechesi in Macajuba; una bella partecipazione del popolo di Dio, animati con quella catechesi catecumenale che cerca di fare dei discepoli missionari di Gesù, un invito ai cristiani che sappiano portare la buona notizia del Vangelo nelle nostre piccole comunità. Sono stato a celebrare in due comunità dove era tanto tempo che non si diceva la messa; è stato bello vedere che la volontà della gente di lodare, di ringraziare, di cantare di nuovo i canti che erano stati dimenticati. Certo si richiede l’impegno di riunirsi, il radunarsi che è fare chiesa, diventa indispensabile per continuare un cammino di ascolto della Parola di Dio che alimenta la nostra fede. Il primo di settembre si è ricordato il giorno della salvaguardia del creato, ho incontrato il cacique Juvenal, di una tribù de indios Payayà che vivono alla sorgente del rio Utinga; è stato bello vedere come cercano di vivere rispettando e coltivando la natura. Stanno cavando una pianta che cresce in riva alla sorgente, si chiama taboa, perché è come una sanguisuga per l’acqua che nasce in questo lago. Poi mi ha mostrato il lavoro che fanno in un vivaio per coltivare le piante native; un lavoro necessario per fare il re-florestamento di questa regione, coltivano anche piante medicinale che vendono poi al mercato di Utinga.

Fine agosto si è avuta la notizia di una strage di una tribù di indios “Flecheiros “in Amazonia, anche se non c’è stata la conferma. Sono comunità isolate che vivono ancora in pieno contatto con la natura e andrebbero protetti, ma non ci sono soldi per gli organismi  federali Funai, che dovrebbero assisterli. Sembra che siano stati “garimpeiros”, cercatori di oro che hanno invaso il loro territorio. Ho partecipato assieme alle suore che collaborano con noi in Utinga e Wagner ad un incontro dei religiosi in Salvador, si è parlato della cultura dell’incontro, come icona la visita di Maria ad Elisabetta, ben partecipato e animato, siamo stati accolti in un grande collegio salesiano, l’incontro svolto in un cinema teatro. Bella l’animazione e anche i contenuti, ha colpito la testimonianza di una suora della pastorale carceraria, con una bella presenza di vita coi prigionieri. Alla sera siamo stati accolti da una bella comunità di suore della Provvidenza, ci hanno offerto una bella ospitalità.

Ieri ho partecipato ad una camminata a favore della vita per la prevenzione dei suicidi, è una campagna che tutti gli anni vede impegnati per ridurre l’indice abbastanza alto di suicidi specie negli adolescenti. Ansia, paura, stress, depressione e quante altre cause che si potrebbero attenuare o vincere col dialogo, con l’accompagnamento delle persone che vivono accanto.
Sto preparando la valigia per il viaggio in Italia, spero di incontrarvi di persona, così come le comunità, Case della Carità, amici e parenti tutti

Un abbraccio
Pe. Luis
24/09/2017


martedì 12 settembre 2017

DI CHE APOLOGETICA ABBIAMO BISOGNO OGGI?





“E l’apologetica, tentazione sempre presente, noi la vogliamo lasciare fuori dal nostro quartiere”.
Terminava così il mio ultimo articolo, lasciando qualche perplessità e alcune incomprensioni, del resto giustificate. Mi spiego meglio nel cosa ho voluto dire. La necessità di mantenere vivo il “deposito” la fede così chiamata da San Paolo, di far conoscere e di trasmettere il messaggio del cristianesimo con le caratteristiche prorpie che le sono state date dal suo fondatore è innegabile ancora oggi. L’apologetica, insomma, non appartiene al passato lontano degli albori del cristianesimo o a quello meno lontano dal sapore tridentino. L’apologetica fa parte della nostra essenza di essere cristiani nel mondo ma “non del mondo” come la Lettera a Diogneto ci ricorda molto bene. La questione non è, allora, SI o NO all’apologetica, ma QUALE apologetica per i nostri giorni.

Sono convinto della necessità di difendere la fede, la tradizione e la dottrina del Cristianesimo e, per noi, del cattolicesimo. Tanti padri della Chiesa autorevoli ce lo hanno insegnano: citandone solo alcuni dell’interminabile lista che si può produrre: Aristide,MarcianoMelitone di SardiGiustinoMartire,Taziano,Teofilo di AntiochiaTertullianoIppolito di Romasan CiprianoClemente Alessandrino e OrigeneEusebio di Cesarea, AtanasioIlario di PoitiersAgostino d'Ippona.
Questa è un’apologetica sana, importante, fatta di contenuti. Quella a cui mi riferisco io, nell’articolo, e che sento spessissimo proferita dai pastori evangelici di basso profilo, è tutt’altro che una difesa della fede, tutt’altro che un dare ragione della speranza che è in noi (1Pt 3, 15). È un fare terra brucita, un’allontanare sempre di più le posizioni dottrinali delle tradizione cattolica e protestante (invece di cercare punti di contatto, si cerca quello che ci divide e che ci fa rimanre divisi).
Questo tipo di difesa, di apologetica non ci serve, non solo qui ma anche in qualsiasi altro posto della terra dove si vuole davvero annunciare Gesù Cristo.Vogliamo confrontarci su quello che ci unisce, mettere in comune quello che ci fa lavorare insieme sulle persone.

Oggi, nelle nostre comunità l’apologetica spicciola cattura molte menti deboli, raccoglie molti fedeli ingenui, miete molte vittime del cristianesimo. Persone che vogliono credere, sperare nel Signore Gesù Cristo ma che se lo trovano “raccontato” e predicato da gente che ne sa veramente poco del Mistero Pascquale e della Resurrezione; figuriamoci poi della Chiesa e della Tradizione. Vorrei che si arrivasse a pensare come il Concilio Vaticano II quando dice che “Abbiamo bisogno di una nuova apologetica, adatta alle esigenze di oggi, che consideri che il nostro compito non consiste nel conquistare argomenti, ma anime, nell'impegnarci in una lotta spirituale, non in una disputa ideologica, nel difendere e promuovere il Vangelo, non noi stessi”. 

Credo, poi, che si possano avere due forme di difesa non necessariamente in antitesi tra loro, ma anzi che si completano: l’Apologetica e la Testimonianza (intesa come il martire – μάρτυς – cioè il testimone), per chi fa fatica a capire che una è già contenuta nell’altra. Ma questa è un'altra sottolineatura da raccontare......
A presto       

Miguel Calmon, 12 disettembre 2017
Gianluca Guidetti     








sabato 19 agosto 2017

SITUAZIONE DEGLI ITALIANI IN VENEZUELA - ALCUNI CHIARIMENTI





Abbiamo ricevuto questa lettera dal Venezuela che volentieri pubblichiamo

“Care italiane, cari italiani, cari connazionali,
leggendo nei siti on line di gran parte dei quotidiani italiani ed ascoltando i report radiofonici e televisivi emessi dalla Rai e da altre catene, abbiamo purtroppo registrato che rispetto ai fatti venezuelani, vige una informazione a senso unico che rilancia esclusivamente le posizioni e le interpretazioni di una delle parti che si confrontano.
Abbiamo anche letto e ascoltato spesso che l’attenzione prestata alla situazione venezuelana viene giustificata per la presenza in Venezuela di una “consistente comunità italiana o di origine italiana” in sofferenza e che sembrerebbe essere accomunata in modo unanime alle posizioni dell’opposizione.
Noi sottoscrittori di questa lettera, siamo membri di questa comunità. Ma interpretiamo in modo assai diverso l’origine e le cause della grave situazione che attraversa il paese dove viviamo da tanti anni e dove abbiamo costruito la nostra vita e formato le nostre famiglie. Siamo in questo paese perché vi siamo arrivati direttamente o perché siamo figli e nipoti di emigrati italiani che raggiunsero il Venezuela nel dopoguerra per emanciparsi dalla situazione di povertà o di mancanza di opportunità e di lavoro in Italia.
In tanti abbiamo condiviso e accompagnato il progetto di socialismo bolivariano proposto da Chavez e proseguito da Maduro, sia come militanti o elettori, sia partecipando direttamente il progetto di un Venezuela più giusto e solidale.
Ciò che era ed è per noi inaccettabile è che in un paese così bello e ricco di risorse e di potenzialità, decine di milioni di persone vivessero da oltre un secolo in una situazione di oggettiva apartheid, al di fuori da ogni opportunità di emancipazione sociale e quindi senza i diritti essenziali che sono quelli di una vita dignitosa, cioè quello delle reali condizioni di vita, di lavoro, di educazione, di servizi sanitari pubblici, di pensioni per tutti.
Questa situazione è durata in Venezuela per oltre 100 anni e bisogna chiedersi perché, soltanto all’inizio di questo secolo, con Hugo Chavez, per la prima volta nella storia di questo paese, questi problemi sono stati affrontati in modo deciso. E come mai, prima, questo non era accaduto? Chi oggi manifesta nelle strade dei quartieri ricchi delle città del nostro paese, gridando “libertà!” dove stava, cosa faceva, di cosa si occupava, prima che Chavez fosse eletto in libere elezioni democratiche ?
In questi anni, diverse agenzie dell’Onu e l’Onu stessa, hanno certificato che il Venezuela è stato tra i primi paesi al mondo nella lotta alla povertà, all’analfabetismo, alla mortalità infantile, raggiungendo risultati che non hanno confronti per la loro entità, rapidità e qualità.
Si citano la mancanza di prodotti di primo consumo e di farmaci, ma nessuno dice che è in atto una azione coordinata di accaparramento e di speculazione che ha fatto lievitare i prezzi e fatto crescere in modo esponenziale l’inflazione. Chi ha in mano il settore dell’importazione di questi prodotti ? Alcune grandi e medie imprese private per giunta sovvenzionate dallo Stato. La penuria di questi prodotti è in realtà l’effetto dell’inefficienza di questi gruppi privati nel migliore dei casi, o piuttosto dell’uso politico che essi stanno operando, analogamente a quanto avvenne in Cile, nel 1973 per abbattere il governo democratico di Allende.
E’ evidente che l’obiettivo principale di questa specie di rivolta dei ricchi (perché dovete sapere che le rivolte sono situate solo nei quartieri ricchi delle nostre città) sia rimettere in discussione tutte le conquiste sociali raggiunte in questi anni, svendere la nostra impresa petrolifera e le altre imprese nascenti che operano in settori strategici, come il gas, l’oro, il coltan, il torio scoperti recentemente e in grandi quantità nel bacino del cosiddetto arco minero: l’obiettivo di questi settori sociali è tornare al loro mitico passato, un passato feudale in cui una piccola elite godeva di tanti privilegi e comandava sul paese, mentre decine di milioni languivano nell’indigenza.
Noi non abbiamo una verità da trasmettervi; abbiamo però tante cose che possiamo raccontare e far conoscere agli italiani in Italia. Che possiamo dire ai vostri giornalisti e ai vostri media. A partire dal fatto che la comunità italiana non è, come oggi si vuol dare ad intendere, schierata con i violenti e con i vandali che distruggono le infrastrutture del paese o con i criminali che hanno progettato e che guidano le cosiddette proteste che non hanno proprio nulla di pacifico.
La comunità italiana in Venezuela è composta di circa 150 mila cittadini di passaporto e oltre 2 milioni di oriundi. Questi cittadini, che grazie alla Costituzione venezuelana approvata sotto il primo governo di Hugo Chavez possono avere o riacquisire la doppia cittadinanza, hanno vissuto e vivono insieme agli altri venezuelani i successi e le difficoltà di questi anni. Gran parte di loro hanno sostenuto e sostengono il processo di modernizzazione e democratizzazione del Venezuela. Molti di loro sono stati e sono sindaci, dirigenti sociali e politici, parlamentari della sinistra, imprenditori aderenti a “Clase media en positivo”, ad organizzazioni cristiane come Ecuvives ed hanno sostenuto e sostengono il processo bolivariano. Diversi di loro hanno partecipato alla stesura della Costituzione, che molto ha preso dalla Costituzione italiana. In gran parte hanno sostenuto Hugo Chavez e sostengono Maduro, opponendosi alle manifestazioni violente e vandaliche organizzate dai settori dell’ultra destra venezuelana.
Un’altra parte, limitata, come è limitata l’elite venezuelana, è sulle posizioni dell’opposizione. Grazie a sostegni finanziari esterni svolgono una continua campagna di diffamazione del Venezuela bolivariano in molti paesi, compresa l’Italia.
L’Ambasciata italiana censisce una ventina di associazioni italiane in Venezuela. Si tratta di associazioni costituite sulla base della provenienza regionale dei nostri emigrati, veneti, campani, pugliesi, abruzzesi, siciliane, ecc. che aggregano circa 7.000 soci e che intrattengono relazioni stabili con l’Italia e le proprie regioni. Solo alcune di queste associazioni, insieme a qualche giornale sovvenzionato con fondi pubblici italiani, hanno svolto in questi anni, in piena libertà, una campagna di informazione contro l’esperienza bolivariana; esse hanno costituito talvolta le uniche “fonti di informazione” privilegiate e accreditate da diversi organi di stampa italiani.
Ma questa non è “la comunità italiana” in Venezuela. Ne è solo una parte limitata, le cui opinioni vengono amplificate da alcuni organi di informazione. Il resto della comunità italiana e il resto del mondo degli oriundi italo-venezuelani si organizza e si mobilità in questo paese nello stesso modo in cui si mobilita e si organizza il resto del paese. Vi è chi è contro e chi è a favore del processo bolivariano.
Da questo punto di vista, non vi è alcun pericolo per la collettività italiana in Venezuela. Come in ogni paese latino americano, e come dovunque, si parteggia e si lotta con visioni politiche e sociali differenti.
Strumentalizzare la presenza italiana in Venezuela è un gioco sbagliato, pericoloso e che non ha alcun fondamento se non l’obiettivo di alimentare lo scontro e la menzogna.”
Caracas, Venezuela, 23 giugno 2017


venerdì 4 agosto 2017

LA COMUNITÀ DEL QUARTIERE POPULARES (dove abita Gianluca)




CHIESA COME COMUNITÁ E COMUNITÁ COME CHIESA


Il quartiere delle Populares nella città di Miguel Calmon, dove vivo io, nel giro di dieci anni è quadruplicato passando da circa 200 famiglie alle attuali 800; da una fila di quattro strade parallele a sette di cui solo due, però, pavimentate. Anche le Chiese pentecostali si sono moltiplicate arrivando, oggi, ad essere presenti con cinque denominazioni diverse. È sorto un piccolo supermercato (mai esistito da dieci anni a questa parte), una Lan House che fa servizio di fotocopie e stampe a colori ed un barbiere, tre case a due piani!. Un campettto in cemento per calcetto, pallavolo e pallacanestro (ma con i canestri scomparsi e le travi delle porte rotte). Una piazza verde, squallida, mai curata dalle gestioni municipali che si sono susseguite nel tempo. In compenso alla fine del quartiere si apre un grande recinto che accoglie lo spazio per la “vaccheggiata” che vuol dire, in sostanza, balli, feste, musiche da dove arrivano da tutta la città e dintorni, ma vuol dire anche prostituzione infantile, droga, alcool, teatro di risse e provocazioni. 
In questo contesto vive e si ritrova la nostra piccola comuitá cattolica. I frequentatori della “cappella” di Nostra Signora Aparecida (in italiano sarebbe ricomparsa/riapparsa, ma suona male per cui lo lascio in portoghese) sono pochi. Alla Domenica ci si ritrova alle 10 per celebrare la Parola con la distribuzione dell’Eucarestia. Un momento importante perché da qui prende vita tutto il servizio che viene fatto nel quartiere.
Il Vangelo proclamato ci fa sentire Chiesa nella Comunità, ci porta alle persone che vivono qui, non importa se evangeliche o senza Dio, se analfabete o con una casa propria. La Chiesa diventa Comunità, insieme di persone che si aiutano, si sopportano, si interessano dell’altro, chiunque esso sia.
Il Vangelo vissuto ci fa sentire Comunità nella Chiesa, ci stimola alla preghiera da dove si attinge la forza per aprirsi all’altro, ci fa pregare insieme (riesco a farlo con un pastore dell’Assembela di Dio Madureira. In alcuni incontri lui fa la preghiera di apertura ed io quella conclusiva e viceversa). La Comunità diventa Chiesa, insieme di persone che pregano, che cercano Dio, che desiderano la santità.
E l’apologetica, tentazione sempre presente, noi la vogliamo lasciare fuori dal nostro quartiere.              

Miguel Calmon, 04 di agosto 2017
San Giovanni maria Vianney – Curato D’Ars
Gianluca Guidetti