sabato 21 ottobre 2017

I POLITICI E IL BEIJU






Che cosa sta succedendo in Brasile? Una Nazione con 200.000 millioni di abitanti, un’estensione di 28 volte quella dell’Italia, una classe politica insignificante e senza dubbio non all’altezza del compito che le è stato affidato e che le viene chiesto dalla popolazione.
Non ci sono dubbi sull’incapacità del Presidente della Repubblica Michel Temer de saper governare il Paese. Se guardiamo le riforme fatte fino ad ora e quelle in programma ci rendiamo conto di cosa aspetta questo popolo gialloverde.
Il comportamento è quello dei “coroneis” i signorotti dallo stile ottocentesco che dettano legge dove la legge ufficiale non c’è o non viene osservata. Propensi solo ad arrichirsi a spese dei contribuenti e della povera gente, amanti del “jeitinho” (leggi jeitigno) ovvero di risolvere le situazioni con mezzi al di fuori della legalità e dei normali procedimenti.
Il comportamento di questi politici mi fa venire alla mente il viaggio di andata e ritorno che ho fatto tra il 19 ed il 20 di ottobre per andare a trovare una suora di 91 anni, italiana, con 50 anni di Brasile e più di 30 a servizio della piccola comunità di Gangú, un borgo del Comune di Crisopolis a 250 km da Salvador, la capitale della Bahia. Come l’abbia conosciuta e perché vado la regolarmente ad ogni 4 mesi, lo racconto un’altra volta.
Sia nel viaggio di andata, di circa 5 ore di autobus, che in quello di ritorno ho “contemplato” con molta attenzione i tanti venditori ambulanti che salivano sul pullman nei momenti in cui si fermava nelle stazioni intermedie. Gente semplice che con molta dignità offriva i loro prodotti. Chi vendeva patatine, castagne secche, bibite fresche o acqua minerale. Una donna, all’apparenza mamma di famiglia, entra e annuncia “olha pessoal chegou o beiju com coco”*. Apre un contenitore in plastica e inizia a percorrere il corridoio del pullman mostrando quello che, provabilmente, aveva fatto al mattino presto prima di portare i figli a scuola. Sempre con molta educazione ed aprofittando del pochissimo tempo a disposizione prima che il pullman riparta di nuovo, cerca di vendere la sua produzione. Pochi reais, sudati, che serviranno per pagare acqua, luce, alimenti, e tutto quello di cui c’è bisogno in famiglia. Tutti i giorni la tessa cosa, è il suo modo di ricavare ONESTAMENTE il pane quotidiano per vivere.
“Tiro o chapéu para ela”** senza ombra di dubbio. E sono in molti che improvvisano un lavoro, inventano un’occupazione per poter portare a casa un po’ di soldi. Non vogliono arrendersi alla vita miserabile che i politici di turno gli propongono tagliando la Spesa Sociale, riducendo incentivi alla piccola attività artigianale, approvando politiche di riduzione dei costi che incidono pesantemente sul ceto meno abbiente. Sono persone che meritano tutto il mio rispetto e la mia ammirazione e, molto spesso, compro i loro prodotti, magari non avendo neanche fame in quel momento, ma solo per la gioia che sento subito nel cuore nel vedere il sorriso che si definisce spontaneo e bello sulla loro bocca mentre ricevono i due, tre, quattro, dieci reais a seconda del prodotto e della quantità.
Inevitabilmente in questi momenti mi tornano alla mente loro.......i politici dal nome importante: Aecio Neves (senatore appena sfuggito da un’accusa di corruzione – il Senato ha semplicemente votato no alla proposta fatta dalla Corte Costituzionale di giudicarlo per i crimini commessi). Viva l’indipendenza dei Tre poteri! Viva la Repubblica! Poi ancora Eduardo Cunha (ex presidente della Camera Federale principale artefice dell’impeachment di Dilma Rouseff), Renan Calheiros (ex presidente del Senato Fedrale), Geraldo Alkimin (Governatore attuale dello Stato di San Paolo), Inácio Lula da Silva (ex presidente della Repubblica), Otto Alencar (senatore che rappresenta la Bahia, ma certamente non gli interessi del popolo baiano), Michel Lulia Temer (attale presidente della Repubblica senza essere eletto). Questa gente ha già rubato millioni, continua a rubare millioni e ruberà millioni nel futuro se le cose non cambieranno. Soldi che appartengono al popolo brasiliano. E la nostra venditrice di beiju impiegherà non meno di 5 anni per arrivare al valore di uno stipendio mensile di questa gente.
Era Pirandello che diceva “Così è se vi pare!”?  ed Eduardo Bennato cantava: “Sono solo canzonette”. Le domande serie, però, me le pongo: è ancora valido oggi (in tutto il mondo) il modello partitico per difendere, sostenere e rafforzare la democrazia? I Partiti Politici sono ancora necessari oggi? I miei dubbi di trent’anni fa, quando con Paolo Pombeni (professore di Storia dei Partiti Politici all’Università di Scienze Politiche a Bologna) si parlava di queste cose, rimangono, anzi aumentano.
Miguel Calmon, 20 di ottobre 2017
Gianluca Guidetti     

*Tradotto: attenzione, gente è arrivato il beiju al cocco. Il beiju é una specialità tipicamente brasiliana di origine indigena scoperta nello stato del Pernambuco, fata con farina di tapioca (la fecola estratta dalla mandioca) e si può mangiare senza niente o farcire con pezzetti grattugiati di cocco o formaggio o prosciutto.
**Tirar o chepéu è un’espressione che significa letteralmente – Togliersi il cappello - . Significa dimostrare un profondo rispetto e ammirazione per una persona o per un atteggiamento/comportammento di quella persona.



   

           


lunedì 2 ottobre 2017

LE UNITÁ PASTORALI NON DEVONO FARCI PAURA, MA...







La Chiesa di Reggio Emilia e Guastalla ha fatto una scelta. Non è di oggi, lo sappiamo bene, che si parla di Unità Pastorali. Una scelta coraggiosa che, tra l’altro, ha trovato il seguito in altre Diocesi vicine alla nostra. Come battezzato, missionario e membro della Chiesa di Reggio m’interrogo sul significato di una tale scelta. Non entro nei meriti teologici e dottrinali (non saprei neanche dove andare a pescarli), ne in discorsi pastorali. Vorrei riflettere alla luce della Scrittura e provare a pensare se il modello delle Unità Pastorali è proprio quello che ci vuole per una Chiesa “in uscita” come la pensa il vescovo di Roma Francesco.
Il punto di riferimento quando si parla del vivere insieme come fedeli, per me rimane sempre quello che ci viene trasmesso dalle pagine di At 2,42-48 e At 4,32-35. È vero che col trascorrere del tempo le situazione si sono fatte più complesse, sono entrati in gioco fattori politici, economici e sociali che hanno reso necessaria la creazione del modello “Parrocchia” che, nel bene e nel male ha retto fino ai giorni nostri. La riduzione del clero locale, per me non può essere il vero motivo. Se però intraprendo questa strada il discorso diventa molto lungo, stancante e poco utile. Mi soffermo, allora, sulla scelta della nostra Chiesa. Cosa sono le Unità Pastorali? La domanda per gli addetti ai lavori è alquanto semplice e banale. Ma per la gente che si è trovata a fare  i conti con una struttura che, per ora, non ha niente di nuovo con quella della Parrocchia se non le dimensioni, ma che punta a sostituire poco alla volta la stessa Parrocchia, la risposta è piena di ma, però, perché e, forse......Il documento del settembre del 2015 - Orientamenti diocesani per le Unità pastorali – le definisce così: “All’interno della Chiesa diocesana, l’UP è la comunità cristiana che prende forma in un determinato territorio, fisicamente non troppo ampio e socialmente significativo, in cui cioè la vita quotidiana dei fedeli nelle sue dimensioni fondamentali (quali ad esempio la residenza, i servizi al cittadino, l’identità culturale…) si sviluppa; essa è costituita dalle diverse comunità locali che abitano il territorio, stabilmente congiunte tra loro nel vincolo della comunione ecclesiale; la cura pastorale unitaria, affidata a uno o più presbiteri, è a servizio dell’evangelizzazione attraverso un progetto pastorale unitario, di cui responsabile è l’intero gruppo dei fedeli, articolato nelle diverse comunità locali e guidato dal presbitero/i.” (Vedi: http://www.diocesi.re.it/wp-content/uploads/2015/10/Orientamentiper-le-unita-pastorali1.pdf).
Circolano “sotto il campanile” visioni diverse, impressioni strane di questo nuovo modo di organizzare la vita delle Comunità. Il Parrocchione, ho sentito chiamarlo più volte. Un insieme di più parrocchie ma con le stesse modalità di vita di una parrocchia: un prete responsabile (o coordinatore come volete voi) con degli aiutanti clerici; un Consiglio Pastorale, una Commissione Economica. Ci sono dubbi, punti oscuri, perplessità:
Un modello che è venuto dall’alto verso il basso: non si è fatto circolare abbastanza per essere interiorizzato dalla gente. Bello il documento che ho citato sopra, ma quanti lo hanno potuto leggere e quanti ci hanno riflettuto sopra.
Un aumento delle responsabilità per i cordinatori: non lo si vuole, ma alla fine lo si percepisce. Il coordinatore accumula maggiori impegni e mette alla prova la sua tenuta fisica e psichica.
La perdita delle tradizioni locali: la scomparsa dei Consigli Pastorali parrocchiali potrà portare a considerare meno gli aspetti locali e le esigenze delle comunità più piccole.
L’esigenza di coinvolgere e dare più incarichi ai laici: lo ritengo un punto necessario, ma qui non sviluppabile come argomento.
Bene! Si è fatto tardi. Le cose da dire e da pensare sarebbero veramente tante. Continuiamo a riflettere su questo nuovo modello iniziato dalla Chiesa di Reggio senza, però, dimenticarci che nella Chiesa delle origini al centro non c’erano le organizzazioni e i modelli, ma le persone. Per essere autentici spazi di vita cristiana le Unità Pastorali dovranno arrivare ad avere questo stile, a mettere al centro la persona. Se vinceranno questa sfida saranno un punto di riferimento per il cammino della Chiesa locale, se non la vinceranno dovremo ripensare ad un altro modello, magari nella forma opposta, non più dal piccolo al grande, ma dal piccolo al più piccolo ancora (Piccole Comunità.........).


A presto       

Miguel Calmon, 08 di ottobre 2017

Gianluca Guidetti