La Chiesa di Reggio Emilia e Guastalla ha fatto una scelta. Non è di
oggi, lo sappiamo bene, che si parla di Unità Pastorali. Una scelta coraggiosa
che, tra l’altro, ha trovato il seguito in altre Diocesi vicine alla nostra.
Come battezzato, missionario e membro della Chiesa di Reggio m’interrogo sul
significato di una tale scelta. Non entro nei meriti teologici e dottrinali
(non saprei neanche dove andare a pescarli), ne in discorsi pastorali. Vorrei
riflettere alla luce della Scrittura e provare a pensare se il modello delle
Unità Pastorali è proprio quello che ci vuole per una Chiesa “in uscita” come
la pensa il vescovo di Roma Francesco.
Il punto di riferimento quando si parla del vivere insieme come fedeli,
per me rimane sempre quello che ci viene trasmesso dalle pagine di At 2,42-48 e
At 4,32-35. È vero che col trascorrere del tempo le situazione si sono fatte
più complesse, sono entrati in gioco fattori politici, economici e sociali che
hanno reso necessaria la creazione del modello “Parrocchia” che, nel bene e nel
male ha retto fino ai giorni nostri. La riduzione del clero locale, per me non
può essere il vero motivo. Se però intraprendo questa strada il discorso
diventa molto lungo, stancante e poco utile. Mi soffermo, allora, sulla scelta
della nostra Chiesa. Cosa sono le Unità Pastorali? La domanda per gli addetti
ai lavori è alquanto semplice e banale. Ma per la gente che si è trovata a
fare i conti con una struttura che, per
ora, non ha niente di nuovo con quella della Parrocchia se non le dimensioni,
ma che punta a sostituire poco alla volta la stessa Parrocchia, la risposta è
piena di ma, però, perché e, forse......Il documento del settembre del 2015 - Orientamenti
diocesani per le Unità pastorali –
le definisce così: “All’interno della Chiesa diocesana, l’UP è la comunità
cristiana che prende forma in un determinato territorio, fisicamente non troppo
ampio e socialmente significativo, in cui cioè la vita quotidiana dei fedeli
nelle sue dimensioni fondamentali (quali ad esempio la residenza, i servizi al
cittadino, l’identità culturale…) si sviluppa; essa è costituita dalle diverse
comunità locali che abitano il territorio, stabilmente congiunte tra loro nel
vincolo della comunione ecclesiale; la cura pastorale unitaria, affidata a uno
o più presbiteri, è a servizio dell’evangelizzazione attraverso un progetto
pastorale unitario, di cui responsabile è l’intero gruppo dei fedeli, articolato
nelle diverse comunità locali e guidato dal presbitero/i.” (Vedi: http://www.diocesi.re.it/wp-content/uploads/2015/10/Orientamentiper-le-unita-pastorali1.pdf).
Circolano “sotto il campanile” visioni diverse, impressioni strane di
questo nuovo modo di organizzare la vita delle Comunità. Il Parrocchione, ho sentito chiamarlo più
volte. Un insieme di più parrocchie ma con le stesse modalità di vita di una
parrocchia: un prete responsabile (o coordinatore come volete voi) con degli
aiutanti clerici; un Consiglio Pastorale, una Commissione Economica. Ci sono
dubbi, punti oscuri, perplessità:
Un modello che è venuto dall’alto verso il basso: non si è fatto
circolare abbastanza per essere interiorizzato dalla gente. Bello il documento
che ho citato sopra, ma quanti lo hanno potuto leggere e quanti ci hanno
riflettuto sopra.
Un aumento delle responsabilità per i cordinatori: non lo si vuole, ma
alla fine lo si percepisce. Il coordinatore accumula maggiori impegni e mette
alla prova la sua tenuta fisica e psichica.
La perdita delle tradizioni locali: la scomparsa dei Consigli Pastorali
parrocchiali potrà portare a considerare meno gli aspetti locali e le esigenze
delle comunità più piccole.
L’esigenza di coinvolgere e dare più incarichi ai laici: lo ritengo un
punto necessario, ma qui non sviluppabile come argomento.
Bene! Si è fatto tardi. Le cose da dire e da pensare sarebbero veramente
tante. Continuiamo a riflettere su questo nuovo modello iniziato dalla Chiesa
di Reggio senza, però, dimenticarci che nella Chiesa delle origini al centro
non c’erano le organizzazioni e i modelli, ma le persone. Per essere
autentici spazi di vita cristiana le Unità Pastorali dovranno arrivare ad avere
questo stile, a mettere al centro la persona. Se vinceranno questa sfida
saranno un punto di riferimento per il cammino della Chiesa locale, se non la
vinceranno dovremo ripensare ad un altro modello, magari nella forma opposta,
non più dal piccolo al grande, ma dal piccolo al più piccolo ancora (Piccole
Comunità.........).
A presto
Miguel Calmon, 08
di ottobre 2017
Gianluca Guidetti
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