giovedì 30 ottobre 2025

RIFLESSIONI SUI FATTI DI RIO DE JANEIRO - OTTOBRE 2025

 



.                              Ruy Barbosa, 30 de Ottobre 25

 

            Ciao a tutti,

è da molto tempo che non scrivo e mando notizie, ma è perché sono stato in Italia che non è molto, ma oggi voglio mettere mano alla tastiera del computer e provare a descrivere quello che è successo  ieri in Rio de Janeiro in due favelas molto conosciute, quella di Alemão e quella di Penha. E’ stata definita come una “Mega Operazione, 121 morti nelle favelas di Alemão e della Penha contro il Comando Rosso”. Chi è il Comando Rosso?   E’ una delle due maggiori organizzazioni criminose nate in Brasile negli anni settanta. Ma voglio raccontarvi quello che un fotografo, che ha vissuto e vive in favela, ha visto e documentato.

            Il suo nome è Bruno Itan, nato a Recife, Pernambuco, da bambino si è trasferito con la famiglia a Complexo do Alemão, una favela di Rio de Janeiro. Ha iniziato a fotografare nel 2008 partecipando a un corso  offerto dal Governo Federale nella comunità. È il fondatore del progetto Olhar Complexo, (guardare complesso) che offre corsi di fotografia gratuiti a bambini e ragazzi delle favelas di Rio de Janeiro e di tutto il Brasile. Nel suo primo libro, "Olhar Complexo", Bruno si concentra sul ritratto della realtà e della vita quotidiana delle favelas brasiliane, evidenziando attraverso le sue immagini la felicità, il potenziale e la semplicità di questi territori e dei loro abitanti.                                      

Dopo la dichiarazione del governatore di Rio de Janeiro, Cláudio Castro (PL) che ha definito l'operazione un "successo" e un "duro colpo alla criminalità", sono intervenuti i movimenti per i diritti umani che hanno affermano che si è trattato di un massacro e ne mettono in dubbio l'efficacia come politica di sicurezza, un punto su cui il fotografo concorda.   

 

"Qui in Brasile non esiste la pena di morte. Qualsiasi tipo di criminale, indipendentemente da ciò che ha fatto, deve essere arrestato, portato davanti alla giustizia e la sua condanna deve essere determinata. Ma ieri qui, nel Complexo do Alemão e nel Complexo da Penha, è stata eseguita la pena di morte", racconta Bruno Itan. "La polizia stessa ha stabilito questa pena di morte. Hanno deciso chi sarebbe morto e chi sarebbe sopravvissuto. Non appena venne a conoscenza del numero di 2.500 agenti di polizia coinvolti nell'opera-zione, Itan decise di lasciare la sua casa nella favela di Rocinha, nella Zona Sud di Rio, dove vive oggi, e di recarsi sul posto. Al suo arrivo, verso le 10 del mattino, trovò auto bruciate, segni di proiettili e residenti in preda al panico.  "Ho visto la sparatoria, ho visto le auto bruciate, ho iniziato a registrare. Anche i residenti hanno segnalato molta brutalità da parte della polizia.  "All'ospedale Getúlio Vargas, riferisce che i cadaveri arrivavano senza sosta. Fino a quel momento, il bilancio ufficiale delle vittime era di 64. "Sono arrivati ​​molti cadaveri, compresi quelli di agenti di polizia", ​​racconta il fotografo.                 

 


Secondo Itan, alla stampa è stato impedito di avanzare verso Penha. "La polizia ha sparato in aria e non ci ha lasciato passare. Hanno fatto una fila e hanno detto: 'La stampa non passa da qui'". Essendo cresciuto nella favela, ha potuto accedere al luogo. "Sono arrivato nella comunità, dove sono rimasto fino all'alba a registrare". Fu durante la notte che i residenti iniziarono a cercare i dispersi, un numero che non corrispondeva al numero di morti registrati fino a quel momento.  Al mattino presto, le famiglie stesse iniziarono le ricerche nella Serra da Misericórdia, che divide le favelas di Penha e Alemão.                          

 

"I residenti hanno portato almeno 55 corpi in Praça São Lucas, sulla Estrada José Rucas, una delle strade principali della regione." "Le famiglie sono andate da sole a recuperare i corpi. Sono riuscite ad arrivare lì con motociclette, auto, hanno preso dei teli per coprire i corpi e portarli qui, nella piazza del Complesso Penha", racconta Itan.  "Inizialmente sono arrivati ​​circa 20 corpi. E poi, cavolo, non si è più fermato. Erano 25, 30, 35, 40, 45... Sono vite, indipendentemente da ciò che hanno fatto."   

 

La Polizia Civile di Rio de Janeiro aprirà un'indagine per verificare la rimozione dei corpi dei morti dal bosco da parte dei residenti, per determinare se ci sia stata una presunta "frode procedurale", secondo il delegato Felipe Curi, Segretario della Polizia Civile di Rio de Janeiro. Curi ha affermato che i corpi esposti in luoghi pubblici sono stati manipolati. "Abbiamo immagini di tutti loro [i cadaveri] vestiti con tute mimetiche, con giubbotti antiproiettile, mentre portavano con sé queste armi da guerra. Poi alcuni di loro sono apparsi con indosso solo biancheria intima o pantaloncini, a piedi nudi, senza niente addosso. In altre parole, è un miracolo che si è verificato", ha detto. "Sembra che siano entrati in un portale e si siano cambiati d'abito. Abbiamo immagini di persone che hanno rimosso i corpi dai boschi e li hanno messi in strada, spogliando i criminali", ha detto il capo della polizia.                                                                                                 

 


Il fotografo richiama anche l'attenzione sul numero di corpi accoltellati a morte, uccisi a colpi di macete.  "Non è normale. È probabilmente la più grande operazione nella storia di questo paese", dice Itan, ricordando il massacro di Carandiru, quando 111 detenuti furono uccisi per sedare una ribellione nel centro di detenzione di San Paolo nel 1992.                                                                                  

"[I corpi] erano senza testa, corpi completamente sfigurati [...] senza volto, senza metà volto, senza braccia, corpi senza gambe", dice. "E ciò che ha attirato la mia attenzione è il numero di corpi con ferite da arma da taglio; ci sono molte foto in cui si vede che si trattava di un'arma, l'effetto di un'arma da taglio, capisci?" Nella sua memoria, dice, "l'odore di morte" è rimasto radicato. "Dove sono ora, non ci sono più corpi, ma l'odore rimane persino nella psiche", dice.  "Sono stato profondamente colpito dalla brutalità. Il dolore delle famiglie, le madri che svenivano, le mogli incinte che piangevano, i padri indignati... Avrei potuto essere uno di loro. Se non avessi saputo di fotografia, all'improvviso potrei essere uno di loro." Per lui, la politica di sicurezza nelle favelas continua a basarsi sulla violenza. "Purtroppo, avviene sempre attraverso il mirino di un fucile. Non avviene mai attraverso l'azione sociale, l'istruzione, l'alloggio, la salute o la cultura, che è ciò di cui la favela ha bisogno per salvare queste persone."

 

Bruno Itan, che ha documentato altre operazioni, come quella di Jacarezinho, che ha causato 28 morti nel maggio 2021 ed è stata considerata la più mortale nella storia della città fino ad allora, afferma che nulla è paragonabile a ciò a cui ha assistito il 28 ottobre.

"Pensavo di aver fatto lì la peggiore operazione della mia vita. Nulla è paragonabile a ciò che ho visto qui oggi", afferma. Mercoledì scorso (29 ottobre), la Procura Federale (MPF) ha chiesto all'Istituto Forense di Rio de Janeiro (IML) di accedere entro 48 ore a tutti i dati dell'esame forense dei corpi delle vittime della mega operazione di polizia condotta a Rio de Janeiro. Il documento chiede inoltre al governo dello Stato di Rio de Janeiro di dimostrare di aver seguito le decisioni della Corte Suprema Federale (STF) nel caso ADPF 635, un'azione che ha messo in dubbio la letalità della polizia di Rio de Janeiro.

 L'ADPF (Argomentazione di Inosservanza del Precetto Fondamentale) ha costretto il governo di Rio a presentare un piano con regole e parametri per l'azione di polizia, che è stato accettato dalla Corte Suprema ad aprile La Procura Federale e l'Ufficio del Difensore Civico dell'Unione hanno chiesto al governo di Cláudio Castro di chiarire e dimostrare di aver seguito i punti previsti dal piano, come l'uso di vídeo camere corporali da parte degli agenti di polizia; la presentazione di una giustificazione formale per l'operazione; e la presenza di ambulanze nelle zone colpite.      

 


Bruno Itan vede tutto con stanchezza e frustrazione. "Se la società pensava di aver vinto, di aver trionfato, credo che tutti abbiano perso", afferma.   "Vi garantisco che quando qualcuno muore nel narcotraffico, ce ne sono altri due o tre che entrano al loro posto."

 

E la chiesa del Brasile che cosa dice? Il cardinale di Rio de Janeiro, Orani João Tempesta,  invita ad essere costruttori di pace, di superare l’odio, la vendetta e l’indifferenza che corrodono il tessuto sociale; è urgente che uniamo le nostre forze per la riconciliazione, per il rispetto mutuo e, soprattutto, per la protezione della vita, per la promozione della giustizia e per la costruzione di una società pacifica, che promuova la dignità della persona umana, specialmente dei più poveri e per i più deboli.   Interessante, ma non si sbilancia affatto contro l’abuso di potere della polizia, dell’esercito, e del Governatore, che accusa lo Stato (Lula) di non avere dato i blindati per potere entrare con maggior facilità nelle favelas, logiche che non lasciano scampo ad un modo di affrontare le situazioni se non con la forza. Non voglio giudicare il Cardinale, ma infelicemente anche a livello di chiesa brasiliana, a volte rispondiamo alle situazioni con delle belle parole, ma spesso non siamo presenti nei luoghi dove la dignità umana è calpestata, dove le ingiustizie regnano sovrane e dove i poveri sono calpestati.

 

Ma, grazie a Dio, che papa Leone XIV, nella sua Esortazione Apostolica Delexit-te, ci dice questo:

“La condizione dei poveri rappresenta un grido che, nel corso della storia umana, interpella costantemente le nostre vite, le nostre società, i nostri sistemi politici ed economici e, soprattutto, la Chiesa. Nei volti feriti dei poveri troviamo impressa la sofferenza degli innocenti e, quindi, la sofferenza stessa di Cristo. Allo stesso tempo, dovremmo parlare, e forse più precisamente, degli innumerevoli volti dei poveri e della povertà, poiché si tratta di un fenomeno multiforme; infatti, esistono molteplici forme di povertà: quella di chi non ha i mezzi di sussistenza materiale, la povertà di chi è socialmente emarginato e non ha i mezzi per esprimere la propria dignità e le proprie capacità, la povertà morale e spirituale, la povertà culturale, quella di chi si trova in condizioni di debolezza o fragilità, sia personale che sociale, la povertà di chi non ha diritti, né spazio, né libertà.

 

            In questo senso, si può affermare che l'impegno per i poveri e per lo sradicamento delle cause sociali e strutturali della povertà, sebbene abbia acquisito importanza negli ultimi decenni, è ancora insufficiente; Poiché le società in cui viviamo spesso privilegiano linee politiche e standard di vita caratterizzati da numerose disuguaglianze, alle vecchie forme di povertà che abbiamo evidenziato e che cerchiamo di combattere se ne aggiungono altre nuove, a volte più subdole e pericolose. Da questo punto di vista, è lodevole che le Nazioni Unite abbiano inserito l'eliminazione della povertà tra gli Obiettivi di Sviluppo del Millennio.

 

            L'impegno concreto verso i poveri deve essere associato anche a un cambiamento di mentalità che ha implicazioni culturali. Infatti, l'illusione di felicità che deriva da una vita agiata porta molte persone ad avere una visione dell'esistenza incentrata sull'accumulo di ricchezza e sul successo sociale a tutti i costi, da raggiungere anche sfruttando gli altri e approfittando di ideali sociali ingiusti e di sistemi politico-economici che favoriscono i più forti. Così, in un mondo in cui i poveri sono sempre più numerosi, vediamo paradossalmente crescere alcune élite benestanti, che vivono in una bolla di condizioni eccessivamente agiate e lussuose, quasi in un mondo a parte rispetto alla gente comune. Ciò significa che persiste una cultura – a volte ben mascherata – che scarta gli altri senza nemmeno rendersene conto, tollerando con indifferenza milioni di persone che muoiono di fame o sopravvivono in condizioni indegne di esseri umani. Qualche anno fa, la foto di un bambino sdraiato a faccia in giù, senza vita, su una spiaggia del Mediterraneo suscitò grande sgomento; purtroppo, a parte un po' di momentanea commozione, eventi simili stanno diventando sempre più irrilevanti, come se fossero notizie di secondo piano. (DT. 9-10-11) Sarà che i “crocifissi” di Rio, non sono i volti di tanti uomini e donne, che sono frutto delle ingiustizie provocate da “Ideali sociali ingiusti e sistemi politio-economici che favoriscono i più forti, mascherandoli come “operazioni per la sicurezza”? Per la sicurezza di chi? Dei più forti…

 

Um abraço e bom final de semana, com as festas de Todos os Santos e a Comemoração dos Fieis Defuntos. Atè a próxima, pe. Luís, irmão da Caridade e vosso irmão.                                                                                          

                                                             

 

lunedì 6 ottobre 2025

LA SCUOLINA DI KARATE' FONDATA DA GIANLUCA GIUDETTI HA VINTO AI GIOCHI PAN-AMERICANI

 


La Squadra della Bahia: Accademia Fênix di Piritiba e Scuola di Karatr di Miguel Calmon


Il primo di ottobre, intorno alle 5:30 del mattino, siamo partiti dall'aeroporto di Salvador per Lima, in Perù. Ho accompagnato il maestro Marcos Paulo e la karateka Evelyn della Scuola Permanente di Karate Padre Paolo Cugini, insieme ad altri 10 studenti dell'Associazione Karate Piritiba Fênix, per partecipare al Campionato Panamericano.

In aeroporto, con scalo a Brasilia, abbiamo incontrato molti karateka provenienti da diversi stati brasiliani e ci siamo uniti a loro in questo meraviglioso viaggio verso il Perù.

Il giorno due e tre, si è tenuta una sessione di presentazione e allenamento per la squadra di atleti brasiliani in rappresentati, a Lima, dalla Confederazione delle Arti Marziali Educative del Brasile (CONFAMEB), filiata all'UPK (Unione Panamericana di Karate-Do). Evelyn era lì per prepararsi alle gare che si sono svolte dal quattro al cinque di ottobre presso il COLISEO Liceo Naval Contralmirante Monteiro in Avenida Venezuela n. 34, San Miguel, Lima, Perù.

Gli atleti erano in uno stato di grande eccitazione e gioia, avendo ricevuto la responsabilità di rappresentare il Brasile e la Bahia in questo importante evento di karate latino-americano.

Il professor Marcus Paulo (Paulinho) e il karateka Gustavo ricevono l'attestato di partecipazione al seminario tenuto dai sensei Carlos Lam, John Trebejo e Oliver del Castillo, peruviani, campioni panamericani nel 2019


Sabato mattina, quattro di ottobre, alcuni di noi si sono recati sul campo di gara dove avremmo dovuto partecipare (con me come spettatore) a un seminario di Karate tenuto dai maestri peruviani Carlos Lam, John Trebejo e Oliver del Castillo, campioni di Kata a squadre nel Panamericano del 2019, seminario su aggiormaneti delle tecniche del karate.

Nel pomeriggio, intorno alle 15:30 (ora di Lima), sono iniziate le gare ufficiali: Kata e Kumite per cinture da rosso a viola per maggiorenni. Erano presenti: Brasile, Perù, Cile ed Ecuador. La foto della delegazione brasiliana, scattata prima dell'inizio delle gare, ha immortalato la presenza di alunni provenienti dagli stati di Bahia (Miguel Calmon – Progetto Scuola Permanente di Karate padre Paolo Cugini, Piritiba – Accademia Fênix, Várzea do Poço – Accademia Fénix, Mundo Novo – Accademia Fénix), Goiás, Ceará, Brasilia-DF, San Paolo, Mato Grosso, Pernambuco e Sergipe.

In evidenza spunta la bandiera brasiliana, il simbolo nazionale, e quello che rappresenta i simboli della città e dell'Associazione WELS – Austria, grande partner e sostenitore del progetto di Miguel Calmon.

Al termine di questo lungo e memorabile viaggio, il Brasile ha vinto diverse medaglie d'oro e d'argento e il trofeo più grande della competizione.

La nostra Evelyn, che ha gareggiato domenica, ha vinto due medaglie, vincendo l'oro nel Katá a squadre e nel Kumite.

Evelyn (prima classificata nella competizione nella città di Bonito/BA) che rappresenta la città di Miguel Calmon, lo Stato di Bahia e il Brasile nel Campionato Panamericano di Lima (Perù).


Non abbiamo potuto fare a meno di esprimere la nostra immensa gratitudine per il supporto ricevuto che ci ha permesso di partecipare a questo Campionato Panamericano:

Alle Parrocchie di Santo Stefano e Santo Agostino, di Reggio Emilia, che hanno contribuito alle spese di viaggio dell’alteta Evelyn. Le suddette parrocchie, insieme al Centro Misisonario Diocesano di Reggio Emilia, sono stati e lo sono tutt’ora, molto vicini ai Progetti sociali presenti nella Diocesi di Ruy Barbosa oltre che al progetto di Karate di Miguel Calmon. Un grazie di cuore!

All'Associazione WELS-Austria, che ha contribuito all'acquisto del biglietto di Gianluca ed è partner e sostiene numerosi progetti nella Diocesi di Ruy Barbosa;

Al Comune di Miguel Calmón, rappresentato dal Sindaco Sampaio, che ha pagato il biglietto del Professor Marcus Paulo;

Nei giorni successivi, abbiamo approfittato del viaggio per visitare alcuni dei luoghi più iconici e tipici di Lima, guidati e accompagnati da Frate Giampiero, un francescano italiano, rettore della Facoltá Cattolica de Lima e che vive a Lima da molti anni.

Ritorneremo in Brasile l'otto di ottobre, soddisfatti e lieti di aver ben rappresentato il Brasile, Bahia e la città di Miguel Calmón a questo importante evento.

 

Diacono Gianluca Guidetti

Coordinatore del progetto



sabato 10 maggio 2025

BUONE NUOVE DALLA BAHIA

 





Ruy Barbosa, 6 de maio 2025, don Luigi Gibellini

 

            Ciao a tutti,

dopo um buon tempo di silenzio mi rifaccio vivo per raccontarvi un poco della vita trascorsa in questi mesi, in preparazione alla Pasqua, la Pasqua e il pezzo di dopo Pasqua.

            Cominciamo con la Quaresima, sempre caratterizzata dalla Campagna della Fraternità che quest’anno aveva come tema “Fraternità e Ecologia Integrale” e sub tema il testo de Genesi “E vide che tutto era buono”.   Le motivazioni per questa scelta sono state queste:

·         10 anni della Laudato Sì

·         800 anni del Cantico delle Creature di San Francesco

·         L’aggravamento della Crisi Climatica e le ultime catastrofi

·         La COP 30 in Brasile

·         Il Giubileo della Speranza, che invita alla riconciliazione integrale.

L’Obbiettivo Generale era: “Promuovere, in spirito quaresimale e in tempi di urgente crisi socio-ambientale, un processo di conversione integrale, ascoltando il grido dei poveri e della Terra” tentando di promuovere concretamente delle scelte nel nostro piccolo, cominciando dall’ambiente familiare e poi allargandosi anche in scelte più comunitarie. Una di queste è stata la scelta, in una comunità della campagna, di eliminare i bicchieri di plastica vicino ai bebedouros e comprare delle “caneque” (tazze) che rimanessero li e lavarle di volta in volta quando si utilizzavano. Piccoli segni, ma significativi. Una cosa negativa invece, è stata la poca divulgazione di questa Campanha, e poca formazione nelle varie comunità, sembra quasi che non ci sia più un grande interesse da parte dei preti e di chi dovrebbe suscitare interesse per queste tematiche che coinvolgono sempre più il pianeta e soprattutto l’essere umano.

            La Settimana Santa l’ho trascorsa nella parrocchia di Macajuba, ed è cominciata con la Domenica delle Palme, con le varie rappresentazioni dell’ingresso di Gesù e della Passione del Signore, questo avvenuto in un Povoado, dove i giovani hanno drammatizzato la Via Sacra lungo le strade del paese; poi il Martedì Santo, Messa Crismale in Alagoas dove si trova il Santuario Diocesano a ricordo di Maria Milza, in cammino di santità; alla fine della celebrazione Eucaristica il Vescovo Estevam ha fatto leggere prima in Latino e poi in Portoghese la lettera che è arrivata da Roma dove veniva annunciato che il percorso verso la canonizzazione di Maria Milza è in andamento e che già si può chiamare di Serva di Dio. Poi la visita ai malati e la celebrazione il mercoledì mattina con le persone anziane e il rito dell’Unzione degli Infermi. Poi il triduo Pasquale in varie comunità; mi piace molto celebrare nella campagna, con delle comunità piccole e a volte poverette, ma che ci mettono della voglia nel fare le cose bene, con tutti i limiti e gli errori liturgici, ma con tanta voglia di celebrare. In questi giorni ho sperimentato, attraverso il sacramento della riconciliazione, quanto è grande la misericordia di Dio e quanto è necessario accogliere tutti perché si possano sentire amati e trattati come figli. Durante la Quaresima nelle varie parrocchie si sono fatti dei momenti di Confessioni, chiamati “Mutirão de Confissões” dove tanta gente se è avvicinata la sacramento della misericordia, e dove noi padri ci siamo resi disponibili a viaggiare da una parrocchia all’altra in segno di comunione sacerdotale; tenete conto che non è come andare da Fontanaluccia a Febbio, ma fare anche 130 kilometri per raggiungere una parrocchia.

            Poi il Triduo Pasquale, nella parrocchia di Macajuba, visitando e celebrando in varie comunità rurali, nella ricchezza della diversità ma anche nella bellezza di vedere come le comunità celebrano e si animano nei momenti importanti dell’anno liturgico. Nel Giovedì Santo ho celebrato nella chiesa di Macajuba e i 12 rappresentanti per la Lavanda dei Piedi erano tutti uomini; allora ho detto che il prossimo anno sarebbe bello vedere che ci fossero anche delle donne, dei ragazzi e ragazze, perché sia rappresentata la comunità nelle varie età e vocazioni; poi non ho lavato i piedi e tutti, ma solo al primo e poi ognuno lavava il piede del vicino, fino ad arrivare a lavare il piede anche a me, come ha detto Gesù in quel momento, “come ho fatto io, così fate anche voi…” Qualcuno dopo la Messa ha fatto questione di ricordarmi che gli apostoli erano tutti uomini e che non si poteva pensare di inserire donne e ragazze…i commenti fateli voi!!!

            Il Venerdì Santo l’ho celebrato in un povoado, prima abbiamo fatto il rito della Croce e la lettura della Passione, e poi i giovani hanno messo in scena la Via Sacra per le vie del paese; ho apprezzato molto questo momento e anche l’impegni dei giovani e delle ragazze che si sono resi disponibili. Il Sabato Santo ho visitato i due ospedali che si trovano in Macajuba e Ruy Barbosa per dare una benedizione e fare gli auguri di Pasqua ai ricoverati; felicemente ne ho incontrati pochi, perché in queste feste i dottori cercano di liberare il più possibile chi si trova ospedalizzato. Poi sono passato anche nelle Delegazie per vedere i carcerati, e anche li non vi erano prigionieri; sarà che questo sia un segno dell’Anno Santo, dove una delle cose che papa Francesco aveva chiesto era di liberare i prigionieri?

            Poi alla notte ho fatto proprio una bella Veglia Pasquale: ho cominciato a celebrare alle 18 in una comunità chiamata Malhada Nova, poi ho continuato celebrando in un’altra comunità che si chiama Nova Cruz e ho concluso nella chiesa principale di Macajuba, terminando alle 23,30. Anche qui nella diversità delle celebrazioni e nella ricchezza della gente che ha preparato e vissuto con intensità la notte di Pasqua.



            Papa Francesco ci lascia il lunedì dell’Ottava di Pasqua, in silenzio, senza grandi boati, dopo avere dato la benedizione a tutti in giorno di Pasqua; povero tra i poveri, se nè andato dopo avere cominciato um processo di cambiamento nella chiesa e nel mondo.

 

            Finita la Settimana Santa, abbiamo celebrato i 29 anni della Casa della Carità nella domenica in Albis, con la presenza di padre Erivaldo e un buon numero di persone; tutto preparato con due giorni di adorazione, dove vari gruppi, movimenti e cristiani si sono alternati dando un tempo per fermarsi davanti al Signore nell’eucaristia. La settimana successiva ho partecipato a due giorni con i preti del Prado in Mundo Novo; siamo un gruppino di 10 sacerdoti che ogni due mesi circa, si incontrano per riflettere sulla spiritualità pradiana e per confrontarsi sul cammino di cada uno. E’ sempre un buon momento, dove si possono condividere idee, pensieri, difficoltà, con libertà, senza essere giudicati ma ascoltati. Mi sembra di potere dire che questo gruppo potrebbe diventare un luogo pensante, dove generare idee da presentare anche al presbiterio, senza correre però il rischio di pensare di essere sempre nella verità.

            Come ultima notizia, vorrei condividere con voi la bella presenza in casa di due seminaristi della Diocesi di Bomfim, Leandro e João Antonio, inviati dal vescovo dom Hernaldo, in preparazione alla loro ordinazione diaconale. Una presenza discreta ma significativa, perché si sono lasciati immergere nella vita della casa e nel servizio agli ospiti. Una settimana non è tanto, ma hanno manifestato quanto il mettere le mani in pasta, ha segnato un poco la loro vita, questo quello che hanno detto. Come regalo di despedida gli abbiamo dato la maglietta della festa della Casa, e il testo di Tonino Bello sulla stola e il grembiule.

            La Diocesi si sta preparando anche all’ordinazione diaconale di Junior e quella presbiterale di Augusto Mercio che avverranno sabato 24 maggio in Cattedrale; preghiamo per loro perché possano essere nella chiesa pastori e servitori di Gesù nelle periferie di questo mondo e di questa chiesa diocesana.



            Su papa Leone non dico niente, dicono già tanto i media e molte persone, dentro e fuori dalla chiesa; mi sembra di potere dire che lo Spirito Santo anche questa volta ci ha sorpresi e probabilmente ha agito come sempre per il bene della Chiesa; lasciamolo lavorare e mettiamoci all’ascolto.

            No Domingo do Bom Pastor deixo pra vocês uma frase de Tonino Bello:  "Uma Igreja que não sonha não é Igreja, é apenas um aparato. Quem não vem do futuro não pode trazer boas notícias. Só quem sonha pode evangelizar."  (do livro "Nos Caminhos de Isaías").  Bom tempo pascal e até a próxima, pe. Luigi irmão da Caridade e vosso irmão. 

lunedì 17 marzo 2025

AMAZZONIA, UNA CONDIVISIONE

 




Sr Alessandra e Isabela  


Ciao a tutti! 

Tornate già da un po’ dal nostro breve viaggio in Amazzonia, vi raccontiamo alcune cose viste e ascoltate.

Abbiamo passato nello stato brasiliano di Amazonas due settimane, visitando tre realtà: Manaus, dove siamo state accolte da d. Paolo Cugini, Tabatinga, tappa intermedia prima di arrivare alla nostra destinazione, e Santo Antonio do Içà, dove vivono e prestano servizio d. Paolo Bizzocchi, arrivato da pochi mesi, e d. Gabriele Carlotti, presente da 5 anni in questa terra. 

L'Amazzonia, terra verde, coperta di foresta e di acqua, dimensioni ben differenti dalle italiane, ma anche dalle bahiane. Per arrivare a Santo Antonio do Içà abbiamo “spalmato” il viaggio da Ruy Barbosa su quattro giorni, prendendo un pullman, tre aerei e il battello veloce, che da Tabatinga impiega 8 ore per arrivare a Santo Antônio: 8 ore di acqua e foresta. 

Abbiamo passato i primi giorni a Santo Antonio do Içá con d. Paolo Bizzocchi e d. Luigi Gibellini, che è stato una bella presenza per un mese e mezzo, tra gennaio e febbraio. Negli ultimi giorni è tornato d. Gabriele Carlotti dal suo viaggio mensile sul fiume. D. Paolo si sta impegnando tanto per studiare il portoghese (ora è a Brasilia a studiare) e conoscere la parrocchia e come funziona, mettendosi in ascolto delle persone, della realtà. 

Per prepararci al viaggio, abbiamo letto e pregato la Querida Amazônia, Esortazione Apostolica di Papa Francesco, scritta a seguito del Sinodo sull’Amazzonia, nel febbraio 2020.

Il nostro viaggio è stato breve, di due settimane: abbiamo visto qualcosa, ci siamo fatte idee probabilmente inesatte, guardando come da uno spioncino, ma proviamo a condividere qualcosa partendo dai quattro sogni di cui parla Papa Francesco (Querida Amazonia, n. 7)


“Sogno un’Amazzonia che lotti per i diritti dei più poveri, dei popoli originari, degli ultimi, dove la loro voce sia ascoltata e la loro dignità sia promossa”.



A Santo Antonio abbiamo incontrato tante persone che lavorano e si spendono per i bambini, con Progetti di doposcuola (Progetto “Maloca do Encontro”), di musica (Progetto “Olho d’água”), di sport (Associazione “Kurumim e Kunhatã”)… che li tengono lontani dallo stare per strada, insegnano a vivere insieme agli altri, stimolano la creatività e l’apprendimento. Sono cose molto importanti in un luogo dove tante famiglie non hanno risorse, dove tanti cadono nel traffico e nell’uso della droga, o nell’alcolismo, dove tante volte c’è una grande povertà umana e ci sono abusi nelle famiglie (che purtroppo portano tante giovani a togliersi la vita). 




A Manaus abbiamo ascoltato di tanti suicidi dovuti alla paura e alla mancanza di prospettive dovuto al grande traffico di droga che in certi quartieri domina e comanda. Abbiamo ascoltato d. Paolo parlare delle iniziative della parrocchia di São Vicente: l’ascolto fatto da due psicologhe stipendiate dalla parrocchia, l’evento organizzato per il “setembro amarelo” (in Brasile è il mese di prevenzione al suicidio); e le comunità della parrocchia organizzano la colazione o la cena per i poveri, molti dipendenti chimici, che vivono in baracche improvvisate, in condizioni di grande povertà. Abbiamo toccato con mano la grande umanità del gruppo Caritas della Comunità di s. Antonio che tutte le settimane va a invitare queste persone, e la mattina alle 5,00 inizia a preparare la colazione, che viene servita a partire dalle 6,30 a chi arriva, con un “Buongiorno”, i tavoli e le sedie, e servizio al tavolo.  




 “Sogno un’Amazzonia che difenda la ricchezza culturale che la distingue, dove risplende in forme tanto varie la bellezza umana”.

Una cosa che ci ha colpito tanto a Santo Antonio è come è normale la vita sul fiume. In qualsiasi luogo si voglia andare, è via acqua, con la sua bellezza e le sue sfide. Fin da piccoli tanti bimbi sono abituati ad andare sul fiume, vanno con il papà a pescare. Il fiume vuol dire altri tempi di movimento, di vita, più lenti. 

Avremmo voluto approfondire la questione indigena, sentirne parlare dalla gente, ma non c’è stata l’opportunità. In vari ci hanno detto che praticamente tutti nella zona hanno origini indigene, ma sono pochi quelli che le riconoscono e accolgono. 

Siamo andati in visita a un villaggio Kokama, vicino a Santo Antonio. Una cosa bella che abbiamo ascoltato è che chi vuole andare a vivere lì e dichiara che è di origine Kokama, è accolto. C’è tutta una cultura propria, fatta di tradizioni, di luoghi, di riti… Nei villaggi indigeni c’è la scuola, dove si insegna la lingua della tribù e il portoghese. I popoli indigeni hanno diritti propri nei villaggi, riconosciuti e difesi dallo Stato.





“Sogno un’Amazzonia che custodisca gelosamente l’irresistibile bellezza naturale che l’adorna, la vita traboccante che riempie i suoi fiumi e le sue foreste”.

Abbiamo visto tanta acqua, e tanta foresta, tanto verde… Dall’aereo e nel viaggio in barca. L’acqua è vita, l’acqua porta il pesce, tanto prezioso per l’alimentazione…

In alcuni luoghi della regione amazzonica i cercatori d’oro illegalmente inquinano i fiumi con il mercurio, per pulire l’oro dalle scorie… E questo significa pesce ammalato, e persone ammalate. Ci sono luoghi con abbondanza di pesce, in cui gli abitanti hanno smesso di mangiarlo per non ammalarsi…

La quantità di acqua e di verde fa pensare al brano biblico del profeta Ezechiele, dell’acqua che sgorga dal Tempio, diventa un fiume navigabile, e:

 “Ogni essere vivente che si muove dovunque arriva il fiume, vivrà: il pesce vi sarà abbondantissimo, perché quelle acque dove giungono, risanano e là dove giungerà il torrente tutto rivivrà. Sulle sue rive vi saranno pescatori […] Lungo il fiume, su una riva e sull'altra, crescerà ogni sorta di alberi da frutto, le cui fronde non appassiranno: i loro frutti non cesseranno e ogni mese matureranno, perché le loro acque sgorgano dal santuario. I loro frutti serviranno come cibo e le foglie come medicina» (Ez 47)

Abbiamo visto, in un paesino a 45 minuti da Manaus, dove d. Paolo Cugini ci ha portate, le rovine di un edificio di fine Ottocento, che nella sua storia ha avuto vari usi, ed è abbandonato da più di 30 anni: la natura se ne è impossessata, con alberi che hanno sparso le loro radici ovunque! Natura trasbordante….



Purtroppo abbiamo visto anche le rovine, più recenti, di quello che doveva essere un grande polo universitario, per il quale sono stati costruiti una strada a due carreggiate di tre corsie, e un grande edificio, disboscando una zona grande. Il progetto è poi stato lasciato a metà e i soldi sono stati usati dai potenti per i propri interessi... Tra qualche decina di anni, forse, se non se ne farà niente, la natura riprenderà possesso della zona…   

 “Sogno comunità cristiane capaci di impegnarsi e di incarnarsi in Amazzonia, fino al punto di donare alla Chiesa nuovi volti con tratti amazzonici.”

Abbiamo ascoltato, a Tabatinga come a Santo Antonio do Içá, il desiderio che ci siano presenze di consacrati, di persone che si dedichino ai popoli indigeni, che entrino nella cultura, imparino la lingua… Possano condividere la Parola di Dio in modo più incarnato. In una comunità dove siamo passati a Tabatinga solo il capo della comunità parla portoghese. Nella cappella hanno dipinto un Cristo al centro, e le divinità che per la cultura Tikuna hanno dato origine alla creazione. E una bellissima Madonna coi tratti indigeni.



D. Gabriele ci raccontava che quando va sul fiume, nelle comunità indigene, c’è sempre qualcuno che traduce.

Nel villaggio Kokama, vicino a Santo Antonio, dove siamo stati in visita, c’è il desiderio che possa sorgere una cappella.

Una grande sfida per la Chiesa Cattolica nei luoghi dove siamo state è quella della presenza di tantissime Chiese evangeliche pentecostali, che spesso si collocano in netta contrapposizione con la Chiesa Cattolica. Di fatto il dialogo è molto difficile. Speriamo e preghiamo che si possa aprire un dialogo e collaborazione, almeno tra i fedeli delle diverse Chiese, per il bene in particolare dei più fragili!



Ecco, solo qualche flash dallo spioncino del nostro viaggio! Siamo tornate grate al Signore e a chi ci ha permesso di conoscere un pezzetto di Brasile ben diverso dalla Bahia! Grate anche per la ricchezza dello scambio tra missionari in Bahia e in Amazzonia!

Preghiamo che ci possano essere missionari per l’Amazzonia, che possano raccogliere l’invito di Papa Francesco e del Sinodo, che i sogni possano diventare realtà per quei popoli e quella terra, e per l’umanità intera!


martedì 25 febbraio 2025

PENSIERI E RIFLESSIONI DAL VIAGGIO IN AMAZZONIA

 




Don Luigi Gibellini


Ciao a tutti,

sono rientraro da Manaus e adesso sono in Salvador aspettando di partire per rientrare a Ruy Barbosa domani. Tento di mettere insieme alcuni pensieri e riflessioni che ho elaborato in questi giorni passati in Santo Antonio e in Manaus. Bisogna prenderli con molta prudenza e con lo sguardo di uno che è arrivato in un luogo un poco sconosciuto e con tutta una realtà, cultura e tradizioni che non conoscevo e che ancora adesso non conosco. Quindi prendete tutto con cautela e con le pinze.

La prima cosa che mi viene da dire di botto, e che mi ha colpito molto positivamente, è stato vedere, all’arrivo al porto di Santo Antonio, dopo 29 ore di lancha, il volto amico di don Paolo Bizzocchi che mi stava aspettando, e che con rapidità mi ha abbracciato e preso la valigia; parabéns. E’ sempre bello sentirsi accolti, aspettati e sentirsi a casa. Dopo tre giorni di viaggio e decisamente stanco, l’accoglienza diventa un buon toccasana e rinfranca del tempo trascorso tra macchina, aereo e barca. Poi arrivati in casa l’incontro con don Gabriele, veterano della missione brasiliana, uno di quelli che don Paolo Ronzoni, definirebbe “dinosauri”, ma sempre ben accogliente e pungente. La casa parrocchiale ha avuto una grande riforma strutturale, cioè rifatto completamente il tetto e, adesso non piove più in casa, ma continua a piovere abbondantemente tutti i giorni; questa è stata una novità di questo tempo, cioè la quantità di pioggia quotidiana che è caduta nel tempo in cui mi sono fermato, e grazie a Dio, perché il fiume era ben basso e adesso ha ripreso il livello normale. 

Mi sono inserito a poco a poco nel quotidiano della vita parrocchiale, che in quel momento stava celebrando vari novenari nelle comunità della città; São Sebastião, poi di seguito Nossa Senhora da Saúde, concludendo con São Lazaro, il povero, non quello resuscitato da Gesù, ma quello della parabola. 


Questo è stato un modo di entrare nella vita delle comunità in un momento particolare e di più grande partecipazione, ma che ti dà il modo di incontrare gente, conoscere storie, vivere quello che è la religiosità popolare, a volte discutibile, ma che riflette un volto concreto del cammino ecclesiale e comunitario. Per certi aspetti non è molto differente dalla realtà di Ruy Barbosa, dove i novenari e le trezene a volte diventino più importanti di Gesù Cristo, o dove certe persone riesci ad incontrarle solo in questi momenti ed eventi. Ma, nello stesso tempo, questi momenti diventano anche opportunità di evangelizzazione, in modo differente, come il proporre una Liturgia Penitenziale, con assoluzione comunitaria, sottolineando la Misericordia di Dio, o una Adorazione Eucaristica sottolineando che l’eucaristia non si “adora”, ma si spezza e si condivide, difatti mi è piaciuto vedere che alla fine della celebrazione, si è spezzato l’ostia grande e si è distribuita la comunione.  Segni belli che aiutano la comunità a sentirsi comunità che celebra, ascolta la parola e che vive la condivisione e l’attenzione alla vita, qualsiasi essa sia. 
Dentro a tutto questo, ho però sperimentato un certo tipo di solitudine, una realtà che di fatto è chiusa in sé stessa e che non ha molte possibilità di confronti e di spazi fuori dalla realtà stessa della parrocchia e tra i due sacerdoti che stanno portando avanti questa missione. Credo che il lavoro fatto in questi 5 anni dai due don Gabriele è stato un lavoro di ristrutturazione ecclesiale, tentando di ridare forza alle Comunità Ecclesiali di Base (che oggi si chiamano Comunità Ecclesiali Missionarie), come protagoniste dell’annuncio del Vangelo e della scelta Ministeriale che si tenta di fare, con grosse difficoltà e accoglienza. E’ più facile dire il rosario alle 4 del mattino con frei Gilson, che assumersi responsabilità nella vita della comunità. Non sono due cose in contrapposizione, ma a volte prevale un certo tipo di tradizionalismo, e non aiuta ad essere cristiani che mettono insieme la fede con la vita. 
Pensando al tempo passato, ma non con saudade, nella diocesi di Ruy Barbosa, avere la presenza di preti, suore, laici, famiglie, visitatori, era un modo di esprimere l’essere chiesa diocesana in una forma completa, bella e speciale; qui mi sembra che manchi qualcosa che esprima questa diversità di vocazioni, all’interno della stessa missione; la prospettiva di avere dei volontari che possano passare dei periodi lunghi qui a Sant’Antonio mi sembra un poco svanita, o per lo meno un po' meno concreta o reale. Quindi quello che si prospetta è una missione ridotta alla presenza di soli sacerdoti, che al momento attuale diventa anche difficile trovare. Non è un giudizio, ma vorrebbe essere un confronto e una riflessione aperta, qui e nello stesso tempo in diocesi di Reggio Emilia-Guastalla.
Nel tempo che sono stato in Santo Antonio, sono arrivate anche suor Alessandra (CdC) e Isabela, novizia brasiliana, che si sono fermate una quindicina di giorni; credo che questo ha fatto si che la missione acquisisse un volto più diocesano. 



Con Gabriele ho fatto anche un giro per visitare alcune comunità ribeirinhas, cioè quelle sul fiume, ed è molto affascinante, ma nello stesso tempo molto pesante e richiede con certezza molta pazienza e perseveranza; il viaggiare sul fiume ti dà il senso della fragilità e tutto quello che ti circonda ti dà il senso della immensità, di acqua, di foresta, di vita e di “nulla”, perché per chilometri e chilometri non vedi altro che “acqua, foresta, cielo”. 
Poi con Paolo siamo andati a visitare anche una “aldeia”  (villaggio) della tribù Kokama a pochi chilometri di Santo Antonio, incontrando il Caxique e la sua familia, che ci hanno raccontato un po' della vità della comunità, con le luci e le ombre, come è strutturata la convivenza dentro la comunità e come sono le relazioni con le altre comunità indigene dell’Amazzonia. Al centro dell’aldeia una grande struttura rotonda dove avvengono tutte le cose importanti della comunità: feste, incontri, assemblee, decisioni e dove tutti hanno diritto di esprimersi. C’è anche la scuola, dove viene insegnata la lingua indigena Kokama, e il portoghese; poi i segni rituali che determinano la tua identità e le tue caratteristiche, tipo i segni della donna sposata, o non sposata, del guerriero…non è tutta poesia, perché il caxique ci ha anche raccontato le difficoltà che hanno incontrato con persone che volevano creare divisioni dentro la comunità. 

Partito da Santo Antonio sono arrivato a Manaus da don Paolo Cugini, bairro Compensa, periferia di questa capitale di 2.200.000 abitanti, dove la droga e la violenza sono di casa e determinano la vita di tante persone. Realtà decisamente differente, dove anche la vita delle comunità è strutturata, dove l’impegno dei laici è ben visibile; anche qui non tutto è poesia, ma si percepisce come chi ha lavorato prima (gesuiti) ha cercato di formare laici impegnati e responsabili. Ho avuto anche il tempo di andare con don Paolo alla Facoltà Teologica, dove oltre ai seminaristi, partecipano ai corsi anche tanti laici. L’insegnamento per don Paolo è certamente la priorità e con certezza ha le capacità di fare questo, e mi sembra che sia ben inserito e apprezzato dagli studenti, al di là delle urla che a volte si sentono dentro e fuori dalla sala di aula…kkkk
Concludo con un sogno, o meglio, un desiderio, quello di potere visitarci alcune volte all’anno, tra quelli che vivono a Santo Antonio, con don Paolo Cugini in Manaus e noi della Bahia, per sentirci sempre più chiesa diocesana in questa bella terra brasiliana, con le sua diversità, le sue sfide e per condividere la vita. Se Deus quiser, isso vai acontecer. 
Daqui a pouco vai começar a Campanha da Fraternidade 2025 que vai enfrentar o tema: “Fraternidade e Ecologia Inegral” e como lema: “Deus viu que tudo era muito bom” (Gn 1,31). O Objetivo Geral è:  “Promover, em espirito quaresmal e em tempos de urgente crise socioambiental, um processo de conversão integral, ouvindo o grito dos pobres e da Terra”. Vamos continuar defendendo a Casa Comun e que todos possam fazer passos concretos porque isso possa acontecer. Bom caminho quaresmal e que este tempo possa ser um tempo de conversão e mudança de vida. Um abraço fraterno e até a próxima, pe. Luís irmão da Caridade e vosso irmão.



lunedì 3 febbraio 2025

DON GIBELLINI: DALLA BAHIA IN VISITA ALL'AMAZZONIA

 



Santo Antonio do Iça, 3 de fevereiro 2025

Luigi Gibellini

Ciao a tutti,

vi scrivo dall’Amazzonia, dove sono venuto per visitare la missione Reggiano-Guastallese, composta adesso da don Gabriele Carlotti e don Paolo Bizzocchi arrivato a novembre 2024; sono arrivato il 18 gennaio e mi fermerò qui con loro fino al 18 febbraio; poi prenderò la barca per arrivare a Tabatinga e di là in aereo per raggiungere Manaus dove mi fermerò alcuni giorni con don Paolo Cugini, prete Reggiano-Guastallese che insegna alla Facoltà Teologia Cattolica ed è parroco di una parrocchia situata in un bairro molto povero e violento a causa del traffico della droga che si chiama “Compensa”. Rientrerò in Bahia il 23 di febbraio.

Il motivo per cui abbiamo pensato questa visita, insieme con don Gabriele, le sorelle e i volontari italiani in Bahia, al CMD e alla Congregazione Mariana delle Case della Carità,  è stato il dare un appoggio per l’inserimento di don Paolo, perché lui possa avere il tempo necessario per studiare il portoghese, capire come inserirsi in questa nuova realtà e non rischiare di buttarsi subito nel servizio pastorale. Sono arrivato il 18 gennaio dopo un viaggio di lanche (una barca veloce) di 29 ore, partendo da Manaus dove mi ero fermato un giorno ospitato da don Paolo Cugini che vive là da 2 anni, (ed insegna alla Facoltà Teologica Cattolica, vedi sopra) .

La realtà di Santo Antonio do Iça è decisamente differente dalla realtà baiana dove vivo, e dove, a differenza di qua, l’acqua è decisamente un bene prezioso e raro, mentre in Amazzonia non manca, anzi è super abbondante, sia quella che si incontra nel fiume (rio Solimões e rio Iça) che quella che cade abbondantemente quasi tutti i giorni dal cielo. La foresta, il verde, l’esuberanza della natura, la bellezza del fiume,  impressiona e ti mette decisamente in difficoltà nel vedere come sei piccolo a confronto con la grandezza che ti circonda; i volti e le diverse tribù, con la loro lingua e con le diverse tradizioni ti richiamano a un mondo che sembra scomparso, ma che qua è ben visibile e toccabile. Sono stato con don Gabriele in visita ad alcune comunità riberinhe (che vivono sulle rive del fiume Iça) e impressiona il vedere come le case sono costruite sulle palafitte per difendersi dalle acque del fiume, che quando cresce arriva alle porte delle case, e vedere come la gente  vive di quello che riesce a coltivare e pescare e quello che la foresta offre gratuitamente; è uno stile di vita che ti riporta un poco indietro nel tempo e ti affascina, e nello stesso tempo ti provoca. 



Poi, non è tutta poesia, ma la realtà è anche composta da tante povertà: umane, sociali, economiche, strutturali ed ecclesiali. All’interno del continente Brasile, anche l’Amazzonia riflette in tutte le sue sfaccettature, le ricchezze e le povertà, le cose positive e quelle negative, i sogni e le delusioni…i problemi della corruzione, della politica come luogo di potere, lo sfruttamento esagerato senza nessun controllo delle risorse e il cambiamento di chiesa, affettano anche la realtà Amazzonica. 

Di fronte a tutto questo, parlando con Gabriele e Paolo, mi chiedo e gli ho chiesto, che tipo di presenza dobbiamo essere adesso dentro questo contesto sociale e dentro questa chiesa?  E’ una domanda da 10.000 punti, ma che è necessaria per non perdere di vista l’orizzonte di una missione che deve aiutarci a rinnovarci e lanciare le “reti in acque profonde…” come ha ricordato don Paolo Bizzocchi nella sua ultima lettera, dopo la settimana di ritiro spirituale com i preti della Diocesi di Alto Solimões. 



Mi sembra di potere dire che una delle risposte possibili sia quella di “una presenza, di una prossimità, di esserci, tentando di camminare con una chiesa che sta cambiando ma che nello stesso tempo, forse, e questo non è una pretesa, ripeto forse, ha bisogno di sentire e vedere anche altri modi di essere chiesa, come dice papa Francesco, “essere chiesa povera per i poveri”, incontrando tante repulsioni e tanti contrasti: ci sono ancora, grazie a Dio,  profeti e profetesse nelle Americhe, profeti come padre Julio Lancelotti che è voce di tanti poveri, marginalizzati, che difende coloro che sono discriminati e ritenuti pericolosi, come il “popolo di strada o gli abitanti di Cracolandia (quartiere di San Paolo dove c’è il maggior traffico di Crak)”, dei prigionieri e dei torturati, ancora oggi, nelle carceri brasiliane, e che annuncia un vangelo che è scomodo e che non si conforma con l’andazzo di oggi;  e profetesse come la Pastora americana Mariann Edgar Budde,  vescova episcopale della capitale Usa. Nel suo discorso, la vescova ha rimproverato il nuovo leader per i decreti da lui firmati contro le persone LGBTQ+ e i migranti. "Le chiedo pietà, signor Presidente. Ci sono bambini gay, lesbiche e transgender nelle famiglie democratiche, repubblicane e indipendenti". In America ''si avverte in tutto il Paese'' un senso di paura e ha difeso i lavoratori stranieri che "potrebbero non essere cittadini o non avere documentazione adeguata (...) ma che la stragrande maggioranza dei migranti non sono criminali".  La difesa dell’uomo e della donna, qualsiasi esso sia, deve essere sempre una priorità della chiesa e di ogni governo. Come tutti i profeti/tesse, non hanno vita facile, sono voci scomode e spesso sono attaccati dai potenti e infelicemente anche dalla stessa chiesa. 



Continuiamo a credere che la chiesa o è missionaria o non è chiesa, o che continua ad essere profetica o diventa una voce qualunque e banale, e che quello che identifica profondamente l’essere umano e l’essere cristiano è l’amore. Finisco con una frase dell’enciclica di papa Francesco “Delixit nos” al numero 21:“  Il nucleo di ogni essere umano, il suo centro più intimo, non è il nucleo dell’anima ma dell’intera persona nella sua identità unica, che è di anima e corpo. Tutto è unificato nel cuore, che può essere la sede dell’amore con tutte le sue componenti spirituali, psichiche e anche fisiche. In definitiva, se in esso regna l’amore, la persona raggiunge la propria identità in modo pieno e luminoso, perché ogni essere umano è stato creato anzitutto per l’amore, è fatto nelle sue fibre più profonde per amare ed essere amato”.

Um abraço a todos e espero que este Ano Santo da Esperança possa encher os nossos corações de gratidão e que cada um de nós possa se tornar anunciador de esperança nos lugares onde a esperança acabou ou está acabando.  Atè breve, pe.Luis irmão da Caridade e vosso irmão.



mercoledì 15 gennaio 2025

UNA MOTIVAZIONE CHE NON SI PERCEPISCE ANCORA




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Gianluca Guidetti

Sono passati 10 giorni dalla mia ordinazione diaconale e molti si sono chiesti il motivo della scelta di essere incardinato nella Diocesi di Ruy Barbosa. Le perplessità che mi sono giunte in forma di domande, consigli ed anche rimproveri sono legittime se si fanno considerazioni e si tiene conto del punto di vista del nostro vissuto come missionari italiani “fidei donum” per una Chiesa sorella (quella brasiliana) sempre pensata e vista come la culla delle espressioni conciliari più profonde, come un fertile terreno per la coltivazione delle speranze che sono emerse negli anni, nate dalle Conferenze Latinoamericane (Medellin, Puebla,...Aparecida) con le loro motivazioni bibliche ed ecclesiali basate sull’opzione preferenziale per i poveri e sullo stato permanente di missione del discepolato di Gesù.  

Il tempo passa e le realtà ecclesiali (modello di chiesa) che oggi troviamo in Brasile (e non solo in Brasile) si sono modificate fortemente nel corso di questi anni. Non faccio analisi di congiuntura ne costruzioni teologico-ecclesiali di questi cambiamenti, semplicemente mi racconto.

Guardando al Vangelo e alla vita e al ministero di Gesù si percepisce il modello da imitare e da praticare.

Già all’inizio della storia messianica la profezia di Simeone ci fornisce un anticipo ben chiaro sul futuro Cristo del Signore: sarà segno di contraddizione perché siano svelati i pensieri di molti cuori. Poi Gesù chiarisce ancora meglio dove e perché vuole stare: mangia e beve con pubblicani e peccatori; dice che non è venuto per i sani che non hanno bisogno di medico, ma per i malati; riceve e perdona prostitute, cura indemoniati e.…dovrà soffrire molto essere rimproverato dal clero e dai teologi locali e messo a morte.

La Chiesa del Brasile (ma non solo lei, purtroppo) si è ammalata già da un tempo! Il suo clero, molti preti (non tutti per fortuna) e laici, si sono ammalati; si ammalano prima di diventare preti o di assumere dei ministeri. I fedeli nelle parrocchie sono ammalati (moltissimi, non tutti). Una malattia che si espande per tutta la Chiesa brasiliana ed oltre.

Ammalati di clericalismo, di liturgismo cronico, di perfezionismo rituale e rubricista, di apparenza che ostenta dal vestire paramenti e vesti liturgiche di stile preconciliare che fanno pensare (per lo meno a me) ad un uso eccessivo e superfluo e che aiuta a nascondere (forse) la fragilità umana e, spesso, psicologica di questi chierichetti, seminaristi e preti tutti alabardati, da sontuose vesti liturgiche.

Ho deciso di rimane qui consapevole di tutti questi pericoli, di queste enormi difficoltà che vivo tutti i giorni, nel confrontarmi con un modello di Chiesa che non è il mio, che fa fatica a rispondere alle caratteristiche delle prime comunità cristiane (At 2 e At 4), al vento leggero portato dal Concilio Vaticano II, al Magistero di Giovanni XXIII, di Giovanni Paolo I e di Francesco. Dire che riuscirò a far cambiare qualcosa sarebbe una bugia, dire che riuscirò a modificare questo modello e la sua traiettoria ecclesiale sarebbe ancora una bugia, ma dire che rimarrò qui come piccolo “segno di contraddizione”, come testimone di un modo di vivere il Vangelo diverso, come lo conosciamo noi missionari venuti da lontano in tempi diversi coi cuori ardenti ed i piedi a cammino per le vie delle comunità ecclesiali povere, delle strade piene di gente semplice, dei riti liturgici pieni di contenuti più che di rubriche, genuflessioni ed inchini...... questo è possibile, o per lo meno lo credo possibile! Essere un piccolo segno, quasi non visto o non considerato, escluso, (tollerato?), sofferente, dentro e fuori dal presbiterio; un segno diverso di vivere, servire e fare Chiesa. 

Il Signore mi doni la Sua grazia e confermi questo mio desiderio di vivere la mia ordinazione diaconale con questo spirito di servizio al Regno.