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Gianluca Guidetti
Sono passati 10 giorni dalla mia ordinazione diaconale e molti si sono chiesti il motivo della scelta di essere incardinato nella Diocesi di Ruy Barbosa. Le perplessità che mi sono giunte in forma di domande, consigli ed anche rimproveri sono legittime se si fanno considerazioni e si tiene conto del punto di vista del nostro vissuto come missionari italiani “fidei donum” per una Chiesa sorella (quella brasiliana) sempre pensata e vista come la culla delle espressioni conciliari più profonde, come un fertile terreno per la coltivazione delle speranze che sono emerse negli anni, nate dalle Conferenze Latinoamericane (Medellin, Puebla,...Aparecida) con le loro motivazioni bibliche ed ecclesiali basate sull’opzione preferenziale per i poveri e sullo stato permanente di missione del discepolato di Gesù.
Il tempo passa e le realtà ecclesiali (modello di chiesa) che oggi troviamo in Brasile (e non solo in Brasile) si sono modificate fortemente nel corso di questi anni. Non faccio analisi di congiuntura ne costruzioni teologico-ecclesiali di questi cambiamenti, semplicemente mi racconto.
Guardando al Vangelo e alla vita e al ministero di Gesù si percepisce il modello da imitare e da praticare.
Già all’inizio della storia messianica la profezia di Simeone ci fornisce un anticipo ben chiaro sul futuro Cristo del Signore: sarà segno di contraddizione perché siano svelati i pensieri di molti cuori. Poi Gesù chiarisce ancora meglio dove e perché vuole stare: mangia e beve con pubblicani e peccatori; dice che non è venuto per i sani che non hanno bisogno di medico, ma per i malati; riceve e perdona prostitute, cura indemoniati e.…dovrà soffrire molto essere rimproverato dal clero e dai teologi locali e messo a morte.
La Chiesa del Brasile (ma non solo lei, purtroppo) si è ammalata già da un tempo! Il suo clero, molti preti (non tutti per fortuna) e laici, si sono ammalati; si ammalano prima di diventare preti o di assumere dei ministeri. I fedeli nelle parrocchie sono ammalati (moltissimi, non tutti). Una malattia che si espande per tutta la Chiesa brasiliana ed oltre.
Ammalati di clericalismo, di liturgismo cronico, di perfezionismo rituale e rubricista, di apparenza che ostenta dal vestire paramenti e vesti liturgiche di stile preconciliare che fanno pensare (per lo meno a me) ad un uso eccessivo e superfluo e che aiuta a nascondere (forse) la fragilità umana e, spesso, psicologica di questi chierichetti, seminaristi e preti tutti alabardati, da sontuose vesti liturgiche.
Ho deciso di rimane qui consapevole di tutti questi pericoli, di queste enormi difficoltà che vivo tutti i giorni, nel confrontarmi con un modello di Chiesa che non è il mio, che fa fatica a rispondere alle caratteristiche delle prime comunità cristiane (At 2 e At 4), al vento leggero portato dal Concilio Vaticano II, al Magistero di Giovanni XXIII, di Giovanni Paolo I e di Francesco. Dire che riuscirò a far cambiare qualcosa sarebbe una bugia, dire che riuscirò a modificare questo modello e la sua traiettoria ecclesiale sarebbe ancora una bugia, ma dire che rimarrò qui come piccolo “segno di contraddizione”, come testimone di un modo di vivere il Vangelo diverso, come lo conosciamo noi missionari venuti da lontano in tempi diversi coi cuori ardenti ed i piedi a cammino per le vie delle comunità ecclesiali povere, delle strade piene di gente semplice, dei riti liturgici pieni di contenuti più che di rubriche, genuflessioni ed inchini...... questo è possibile, o per lo meno lo credo possibile! Essere un piccolo segno, quasi non visto o non considerato, escluso, (tollerato?), sofferente, dentro e fuori dal presbiterio; un segno diverso di vivere, servire e fare Chiesa.
Il Signore mi doni la Sua grazia e confermi questo mio desiderio di vivere la mia ordinazione diaconale con questo spirito di servizio al Regno.
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