È noto il detto popolare “Chi non deve non teme”. Lo è
qui in Brasile; usato spesso e volentieri dai movimenti sociali, dalle
organizzazioni senza fini di lucro, dalle pastorali sociali quando riflettono,
criticano, controllano i bilanci pubblici delle gestioni municipali e statali.
È diventato uno slogan che ha influenzato anche i mass-media, i dibattiti
politici, le analisi di congiuntura (molto famose qui in Brasile).
Il dodici di maggio del 2016 dopo ventun ore di dibattito
in senato Dilma Rosseff veniva esautorata dalla carica di presidente della
repubblica con 55 voti contro di lei e 22 a favore. Il processo di impeachment
portava il suo vice, Michel Temer, alla presidenza. Una svolta politica
architettata a pennello che condannava Dilma Rousseff ma, stranissimo, senza
farle perdere i diritti politici e lanciava alla più alta carica dello Stato
una persona rappresentate di un partito politico (PMDB) che non ha mai vinto
un’elezione presidenziale ma ha avuto ben tre presidenti della Repubblica!!!
Di sinistra lei, popolare (ma non populista), integra
nella sua condotta (ritengo che sia stata manipolata da altri); di destra lui,
amico del grande capitale e dei potenti pastori evangelici.
Una figura interessante questo Temer che sanziona la
legge sulla terzerizzazione a 360º, lavora a più non posso per smantellare lo
stato social faticosamente migliorato negli ultimi 15 anni, spinge
disperatamente per approvare la Riforma della Previenza sociale che condannerà
la classe media a raccogliere contributi tutta la vita senza mai andare in
pensione. Lui, che con i suoi 76 anni in pensione ci è già andato. Prima della
riforma, nuturalmente e con la modica cifra di 20.000,00 reais al mese (poco
più di 6.000,00 euro), ma se si pensa che il salario minimo qui è 937,00 reais
fate un po’ i conti. Il suo motto? “Ordem e progresso”: il suo progresso, il
suo ordine. Da qui il ritocco sarcastico al proverbio: Chi non deve non Temer.
In questo scenario inseriamoci anche i processi che
contano come il Lava-Jato, che vogliono togliere di mezzo persone che
potrebbero ancora avere un peso determinante sull’asse politico per le elezioni
del prossimo anno. Il giudice Sergio Moro (un’imitazione di Di Pietro quando
era giuice di Mani Pulite) la cui moglie è un’importante figura dentro il
partito PSDB muore dalla voglia di condannare definitivamente Lula (ed altri
con lui) sapendo molto bene che l’immagine dell’ultra settantenne simbolo del
PT non è stata rovinata dagli scandli che, ad onor del vero, lo hanno coinvolto
e trovato colpevole. Nel 2018 Lula, se candidato, ha serie possiblità di
vincere di nuovo.
L’impressione che mi faccio è di una magistratura molto
politicizzata e di un parlamento molto giudice e poco legislatore e di un
esecutivo che non sa cosa fare, non sa come governare e gioca e fare riforme
usando, come spesso accade, lo strumento della Medida Provvisoria (una sorta di
Decreto Legge). Si moltiplicano le ingerenze politiche tra i tre poteri
constituzionali (ma ditemi voi in quale paese del mondo possiamo oggi affermare
l’indipendenza dei tre poteri...forse solo nei paesi a regime monarchico o
dittatoriale ed in Vaticano perché i tre poteri appartengono per Diritto
Canonico esclusivamente al Papa).
Insomma nonostante la Corte Costituzionale stia, in
questi giorni, decidendo sulla cassazione della lista Dilma-Temer e credo che
arriverà a cassare il manato dell’attuale presidente della repubblica, ombre e
perplessità continuano a minacciare tanti aspetti della vita qui in Brasile: economia, sistema social, politica,
religione. Nei prossimi articoli cercherò di parlarvi di ognuno di questi
aspetti.
Miguel Calmon, 06 aprile 2017
Gianluca Guidetti
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