La Chiesa ha celebrato,
vissuto, e testimoniato un’esperienza senza precedenti (almeno negli ultimi
mille anni) della sua Storia di salvezza: Il Concilio Vatiano II. Montagne di
libri sono stati scritti su questo altissimo avvenimento, e montagne se ne
scriveranno ancora, ma a più di 50 anni dalla sua chiusura se n’è capito ancora
poco, o meglio, il Concilio non ha avuto,credo, la recezione che avrebbe dover
avuto. Ancor oggi le nostre Chiese stentano a recepire e vivere tutta
quell’ondata di freschezza spirituale (e, in un certo senso, di ritorno alle
origini) che i venti dello Spirito Santo hanno immesso nei documenti finali:
Costituzioni, Decreti, Dichiarazioni.
Si è scritto molto, moltissimo,
forse troppo...in termini di Piani Pastorali, Progetti di rinnovamento
liturgico, Strutture e beni materiali. L’impressione che ho è quella che ancora
oggi si faccia fatica, molta fatica, a leggere la Storia di salvezza (e a
scriverne le sue modifiche) alla luce dei documenti conciliari.
Non si tratta qui di esprimere
giudizi di valore ne di merito, ma mi incuriosiscono e, allo stesso tempo, mi fanno
riflettere le diverse posizioni; alcune veramente preoccupanti. C’è chi pensa
che sia stato un appena un “incidente di percorso”, chi ne fa una nota in calce
dentro l’evoluzione normativa della Chiesa e chi è convinto che si possa fare a
meno dei suoi contenuti di fede, di dottrina e di teologia. Da questi
atteggiamenti può nascere un cristianesimo carente di senso della Chiesa e di reale
attenzione al mondo e alla storia, ancora fortemente clericale dove i laici
continuano a dimostrare una scarsa consapevolezza delle loro responsabilità e
delle loro potenzialità. Per dirla con le parole di Giorgio Campanini:
“Passare da una pastorale incentrata sul
luogo ad una che affianchi alla permanente attenzione al territorio una
coraggiosa immersione negli ambienti di vita -fabbriche, caserme, discoteche,
università – (una nuova evangelizzazione)
richiede una non semplice né facile conversione; esige, soprattutto,
l’individuazione di nuove figure di evangelizzatori che non potranno, di fatto,
che essere laici, uomini e donne. In questo senso la comunità cristiana deve
imparare a respirare a due polmoni,
quello del radicamento territoriale e quello della presenza negli ambienti di
vita. Ma ciò non potrà avvenire se l’evangelizzazione sarà incentrata pressoché
esclusivamente sulle figure presbiterali.
Non si tratta dunque di operare una pura e semplice operazione di
ristrutturazione organizzativa (pericolo
che corrono oggi le Unità Pastorali
- corsivo mio), rivedendo i confini e l’organizzazione delle parrocchie
in funzione del nuovo contesto culturale, ma di ripensare il ruolo della
parrocchia nella prospettiva di una “nuova evangelizzazione”.(¹).
Continuando su questa linea mi sembra
interessante proporre altre due riflessioni:
Uno stile di vita, per noi cristiani,
che si assomiglia di più a quello delle origini. Se ripercorriamo la Storia
della Chiesa non è difficile trovare nella proposta generata dal Concilio un
maggior senso della povertà che si fa strada non come e solo “valore teologico”
ma, penso, soprattuto come “dimensione cristologica” ovvero insostituibile e
incancellabile. È un’esigenza che ci richiama alle origini, agli stili di vita
semplici dei primi cristiani e ci permette di riappropriarci, come cristiani,
del primato dei rapporti interpersonali e dal distacco dalle cose. In questa prospettiva di una Chiesa che vuole
essere povera ad immagine del Povero gli stili di vita dei laici cristiani (ma
non solo di loro) saranno decisivi e determinanti: non penso sia esagerato dire
che ci giocheremo la credibilità della Chiesa sulla esigenza della povertà
evangelica.
Un coinvolgimento non solo “esecutivo/pratico”,
ma “pensante/programmatico” dei laici. Siamo ancora lontani dal poter affermare
che i laici criastiani hanno trovato e fatto loro il “senso della Chiesa” e la
loro appartenenza attiva e propositiva nel suo cammino, ma il Concilio ci ha
dato strumenti bellissimi e profondissimi per lavorare su questo aspetto che,
penso, è determinate perchè si possa parlare di Chiesa nel modo giusto e di
intenderla e viverla nelle nostre Comuità/Unità Pastorali. Ancora oggi è
presente, tra la maggioranza delle persone che si dichiarano cristiane,
un’intendimento sbagliato. Facciamo, a chi viene a Messa alla Domenica, due domande: Chi fa la Messa? Chi è il missionario? La
risposta del 98% delle persone sarà la stessa: il prete fa la Messa e il
missionario sono preti e religiosi. Noi sappiamo bene che non è cosÌ.
L’Eucaristia non la fa il prete ma la comunità riunita, il prete la presiede
(che è ben differente). Senza Comunità non c’’è Eucaristia come senza il prete
(nella nostra tradizione cristiana cattolica) non c’è Eucaristia. E il
missionario? Tutti siamo missionari, laici compresi. E non è necessario andare
in terre lontane per essere dei missionari, lo siamo nelle nostre terre, nei
nostri ambienti di vita, in mezzo a persone conosciute e non conosciute.
Continua, oggi, ad esistere la tentazione di voler credere che il missionario
sia un altro (o un’altra) per non farci assumere le nostre responsabiltà nei
luoghi dove viviamo quotidianamente la nostra fede.
Mi
rendo conto che questi sono proprio pensiere sparsi, ma credo che
possano aiutare per una riflessione personale sul modo di essere nella Chiesa e
sulla necessità di non “accomodarmi” alle mie pratiche religiose che, molto
spesso, si limitano alla partecipazioe (passiva purtroppo e senza la
comprensione piena degli atti liturgici) alla Messa domenicale. Come disse
qualcuno: “Occorre scuotere e
sollecitare le coscienze prima di preoccuparsi di riempire le chiese”.
Non lasciamo che la Chiesa siano “solo” gli
altri: preti, diaconi e religiosi. La Chiesa è il Popolo di Dio dove dentro non
possono non essereci i laici, tutti i laici che credono al Vangelo del Signore
Gesù Cristo e si lasciano da Lui coinvolgere per essere quel fermento nella
massa dove clero e religiosi non riescono (e non devono neanche, per la loro
specifica vocazione) ad arrivare.
(¹) Saverio Xeres, Giorgio Campanini; Manca Il Respiro, un prete e un laico
riflettono sulla Chiesa italiana; ANCORA, 2011, pag 91-92.
Miguel Calmon, 20
di novembre 2017
Gianluca Guidetti
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