Considerazioni per il Consiglio Missionario del 9
aprile
Missionari reggiani in Bahia.
Non
avendo potuto riunirci, visto il poco tempo a disposizione, per poter
riflettere insieme come gruppo missionario, invio le considerazioni di quelli
che sono riusciti a scrivere qualche cosa. Ho preferito, visto il numero esiguo
degli interventi, non fare una sintesi, ma proporre i singoli punti di vista
che mi sono arrivati. Li riporto seguendo l’ordine con cui mi sono arrivati.
VANESSA LECCESE
Credo
nell’ importanza di conoscere le missioni reggiane in vista di eventuali
periodi medio - lunghi di missione. Dopo aver partecipato al corso di
formazione a Verona mi sono resa conto che di tutti i laici presenti, solo io e
Alba, la ragazza in missione in Madagascar, non conoscevamo i luoghi in cui
avremmo vissuto. E credo che per tutti loro sia stato un gran vantaggio.
Non
so come si siano svolti i campi estivi in passato, ma da quanto emerso mi
sembra però che sia necessaria una preparazione adeguata anche per capire bene
quali siano gli obiettivi e le finalità; non è detto però che la
conoscenza debba avvenire attraverso un campo estivo; nel caso si abbia bene in
mente quale sia il progetto potrebbe essere organizzata una visita in occasione
per esempio di viaggi di ex missionari.
Pensando
a nuove figure laiche di italiani qui in missione credo sia necessario valutare
bene da parte dei preti, delle suore e dei laici che vivono stabilmente in
Brasile quali siano le effettive possibilità.
In
base un po’ a quello che sto vivendo, credo che per i preti sia difficile poter
conciliare i molteplici impegni che hanno con le esigenze di un laico.
Sicuramente
per un laico essere immersi totalmente nella missione ha i suoi molteplici
vantaggi, ma è necessario avere dei punti di riferimento su cui poter contare e
un accompagnamento spirituale, soprattutto nei primi mesi, cosa che a mio
avviso per i preti è oggettivamente quasi impossibile da assicurare.
Credo
inoltre che per un laico sia importante potersi inserire in un progetto
iniziale già avviato per poter poi gradualmente conoscere la comunità e
partecipare alle diverse attività parrocchiali.
Concludo
con una piccola riflessione, anche alla luce di tutto quello che sto vivendo:
meno male che ho partecipato al corso del Cum!
DON GABRIELE BURANI
1. La missione paradigma della
Chiesa.
la parrocchia non perda energie e tempo nei piccoli conflitti interni.
la parrocchia non perda energie e tempo nei piccoli conflitti interni.
progettare una conoscenza
delle famiglie della parrocchia e programmare visite per stringere
relazioni. Conoscere anche la realtà più ampia del nostro mondo.
2. Gesù incontrava tutti,
poveri e ricchi, sani e malati. Una chiesa ferita e sporca potrebbe essere una
chiesa che rimane aperta a tutte le persone e quindi a tutte le sofferenze,
problematiche, peccati. Credo che importante sia accettare di incontrare
le sofferenze delle persone, sofferenza fisica, morale, psichica,
spirituale...
3. Non vedo cose particolari
per i laici, i laici sono la Chiesa ( il clero è solo una piccola parte).
Sufficiente rimanere sulla via del Concilio vaticano II.
4. Il dialogo culturale è una
via. Dialogare sulle grandi domande, cercare insieme ciò che dà senso e gioia
alla vita.
5. Sempre ritornare alla
Parola di Dio e scegliere atti concreti; per noi in Brasile ci sono
situazioni simili, ma anche molto differenti, quindi è difficile da qui dare
consigli!
GIANLUCA GUIDETTI
1).
Che cosa può significare nel cammino pastorale delle parrocchie che la missione è paradigma della chiesa?
Può e deve significare una
profonda revisione degli stili pastorali e delle relazioni tra le persone. Partendo
dai documenti del Concilio Vaticano II (di cui le parole del vescovo di Roma
Francesco sono piene) possiamo riflettere sulla necessità di “uscire dal
tempio” per andare all’incontro dei lontani. E quando penso a chi
sono i lontani non mi referisco solo a quelli che non credono, ma soprattuto a
quelli che sono convinti che per essere cristiani autentici sia sufficiente
partecipare all’Eucarestia la Domenica e confessarsi due volte all’anno! Senza “l’andare
missionario” non c’è Chiesa. Dunque la Parrocchia o
l’Unità Pastorale non può aspettare, rinchiusa in se stessa, di essere cercata,
raggiunta, trovata dalla gente, ma deve credere nella necessità, sempre più
impellente e profonda, di andare alla ricerca, di perdere del tempo (che non è
perso lo sappiamo tutti molto bene) per bussare alle porte di chi si è perduto,
di chi non è riuscito a trovare il sentiero, di chi dubita dell’Istituzione
ecclesiastica o di che ne fa solo un insieme di norme e precetti canonici.
2).
Come impostare un cammino pastorale per una chiesa che
si sporca le mani, una chiesa “ferita e sporca per essere uscita per le
strade”?
Condivido tutte le
affermazione del papa Francesco nella sua EG (n 48 e 198). Credo però che “l’opzione per i poveri” non sia una
categoaria teologica (o non solo questo) ma una categoria cristologica, il che la rende necessaria e obbligatoria
per il cristiano e per la Chiesa. La povertà della Chiesa e l’opzione per i
poveri non sono scelte che si possono o non si possono fare dentro una Diocesi,
una Unità Pastorale, una Parrocchia, una Comunità, una familia criastiana, una
vita craistiana . Sono esigenze ineliminabili perché sono il costitutivo del
pensiero e dell’esempio di Gesù Cristo. Lumen Gentium 8,3 e Ad Gentes 3 sono il
punto di partenza di questo “Mistero” (ovvero quello della povertà), mistero
che costituisce parte integrante della rivelazione del Cristo. Non
a caso figure conosciute come il cardinal Giacomo Lercaro, Y.M. Congar, M.D.
Chenu hanno cercato di far capire questo ai padri conciliari. Da questo credo
sia importante, più che una riflessione, ripensare una nuova pratica che
comincia a prendere corpo su alcuni fronti:
a)
Nella formazione dei futuri preti puntando su uno stile più
sobrio, semplice e povero.
b)
Nelle Comunità parrocchiali dando priorità non alle strutture,
ma alle relazioni, non alle cose da fare o proporre, ma alla testimonianza (che
non a caso traduce la parola martirio...) da vivere e condividere.
c)
Nelle persone lontane dalla fede mostrando la straordinaria
pratica della misericordia e dell’ascolto.
3).
Quale ruolo dei laici nel cammino della chiesa
in uscita, all’interno della proposta delle Unità Pastorali?
L’esperienza di questa
Chiesa latinoamenricana mi ha fato comprendere quanto poco le Chiese Europee
abbiano fatto per mettere in pratica i voleri del Concilio Vaticano II. Lumen
Gentium 9. 10. 14, in particolare 30 a 38. E soprattutto tutta la Apostolicam
Actuositatem ci aiutano a capire come deve trasformarsi la nostra concezione
del ruolo dei laici nella Chiesa. Diventa di estrema importanza che i laici
capiscano che il loro ruolo non è quello di aiutare i preti a “fare delle cose”
nella Chiesa senza assumersi delle responsabilità ben precise e specifiche alla
loro vocazione. Se senza presti non c’è Chiesa anche senza laici non c’è
Chiesa! Quanti, ancora oggi, nelle nostre realtà parrocchiali pensano alla
celebrazione Eucaristica come a un qualcosa del prete. La Messa la dice il
prete, la celebra il prete. Sbagliato! L’Eucaresia non la celebra il prete, la
presiede che è tutta una altra cosa! Senza il popolo di Dio non c’è
Eucarestia.... La Messa la dice la comunità riunita sotto la presidenza del
ministro ordinato...Possono sembrarvi considerazioni banali e, forse, mediocri,
ma chiediamo ai fedeli che partecipano la Domencia alle Eucarestie (tantissime)
che si celebrano a Reggio e dintorni....credo che la risposta sia scontata. Per
questo i laici possono e devono avere ruoli importanti dentro le Unità
Pastorali. Ruoli che permettano loro di vivere la loro vocazione non come
“dipendenti” dei preti o al loro servizio, ma come partecipi di un unico
Mistero di Cristo che, nella e con la Chiesa, si realizza attraverso la
corresponsabilità dei carismi e l’unione delle specifiche vocazioni al servizio
del Regno. Perché i laici non potrebbero anche nelle nostre comunità reggiane
celebrare la Parola (e magari distribuire l’Eucarestia) la Domenica la dove il
prete non arriva? Perché i laici non potrebbero “imparare” che non è la Messa
che deve andare a loro, ma loro che devono andare a Messa? Pretendere di avere
il prete sotto casa, la Messa all’ora desiderata sono ancora pratiche molto
presenti nelle nostre Unità Pastorali. Allora è venuto il momento di pensare a
qualcosa di nuovo. Se l’Eucarestia è il centro della mia vita io, laico, devo
imparare anche a sacrificare i miei orari per potermi adattare alle necessità
della mia Unità Pastorale. E per fare questo devo sentirmi “partecipe”
dell’Eucarestia e non semplice spettatore, rispondendo con i ritornelli
imparati a memoria e i gesti diventati meccanici contenuti dentro la
celebrazione Eucaristica. Insomma, credo
sia venuto il momento di chiedere ai laici di assumere responsabilità maggiori
anche nella liturgia e, per fare questo, bisogna anche permettergli di assumere
queste responsabilità, educarli a fare questo, aiutarli a sentirsi protagonisti
nelle celebrazioni liturgiche...Con una buona provocazione mi cheido se i preti
sono pronti a scommettere di più sui laici, se accetterebbero di educarli
rinunciano ad un poco di quella soggezzione che, ancora oggi, molti laici
sentono in rispetto ai preti e che non è senso di rispetto, ma soggezzione,
senso di inferiorità. A rigor del vero, peró, si deve ammettere che la
gerarchia ecclesistica non non ha fatto grandi sforzi fino ad oggi per liberare
i laici da questa soggezzione verso i preti.
4).
In un contesto sociale sempre più secolarizzato e
scristianizzato (cfr. le ultime statistiche dell’Istat) quale stile
dovrebbero avere le comunità cristiane per mantenersi in un dialogo fecondo con
il mondo circostante?
Non c’è dubbio che At2,
42-48 e At4, 32-35 rimangono il modello di una fede vissuta che completa la
fede proclamata. Lo stile delle prime comunità cristiane deve sempre
essere per noi un punto di riferimento, una sfida a ripensare l’Unità Pastorale
non come un congiunto di strutture (chiese, oratori, saloni parrocchiali,
circoli sportivi e ricreativi, ecc.) ma come una “unica comunità cristiana” che
vuole vivere le beatitudini evangeliche, formata alla scuola del Mistero
Pascquale e costantemente alla ricerca di una soddifazione e di un benessere
che non appartengono a questo mondo, ragione per la quale non possono essere
trovati (soddisfazione e benessere) in questo mondo. Sono sempre più convinto
che il dialogo non deve essere fatto di parole, parole, parole, anche belle, da
offrire all’altro. Il dialogo deve essere basato sulla testimonianza visibile
di come vivo secondo il Vangelo della Carità e della Misericordia. Non
convincono più l’uomo del nostro tempo frasi ad effetto, ragionamenti perfetti,
incontri mediatici, serate di studio, interpretazioni del senso della vita che
non fanno una piega. Quello che convince o, per lo meno, obbliga a riflettere
l’uomo di oggi, sulla propria esistenza umana (e sulle scelte che essa produce)
è il vedere e sentire prodotto dall’espressione “guardate come si amano tra di loro”. Stili pastorali che alimentano
la chiusura, invece dell’apertura, nelle nostre comunità cristiane; scelte
liturgiche che limitano la responsabilitá dei laici, invece di ampliarla e
sommarla a quella dei preti; attività di apostolato e missione che cercano di
mantenere i “miei fedeli” nella “mia Unità Pastorale” alimentando, non il
senso di appartenenza ad una Chiesa, ma solo statistiche ingenue, credo non
aiutino a mantenere un dialogo fecondo con il mondo circostante.
5).
In che mondo aiutare le comunità e il cammino delle Unità Pastorali per uno
stile di chiesa più attento alla custodia del creato e
alla dimensione sociale dell’evangelizzazione?
Voteremo, in Italia, il 17
di aprile per l’abrogazione delle parole “per
la durata di vita utile del giacimento, nel rispetto degli standard di
sicurezza e di salvaguardia ambientale” contenute nel comma 17, art 6º, D.
Lgs del 3.04.06 n. 152, sostituito dal comma 239, art 1º, Legge del 28.12.15 n.
208. La partecipaione alla vita politica (non partitica) non è una opzione del
cristiano, è una esigenza. Speriamo che le nostre comunità votino bene e a
favore del creato. Senza banalizzare troppo, ma credo che un grande aiuto possa
venire dal fatto di continuare a investire sulla formazione dei laici nella
politica. Del resto la Dottrina Sociale della Chiesa ci stimola ad essere “nel mondo ma non del mondo” (parole
della Didachè) e perciò a non disinteressarci dei problemi sociali e
ambientali, oltre a molti altri di diverso aspetto. Non mi sento di dare
consigli pronti, ma mi vengono in mente alcuni atteggiamenti pratici:
a)
Anni fa si facevano raccolte della carta, del vetro, dei
vestiti. Oggi ci sono soggetti incaricati a fare questo, ma così è venuta meno
una occasione di incontrare le persone, stare insieme per un obbiettivo comune,
condividere la fatica e il lavoro di raccolta... Non interessa quanto possiamo
ricavare, interessa quanto possiamo stare insieme per una causa comune. Perché
non ripensare, a livello di Unità Pastorali, ad attività (di raccolta o non) da
fare insieme a beneficio dell’ambiente?
b)
Meno auto circolando per le strade. Tra di noi cristiani
dovrebbe essere più possibile andarsi a prendere l’un l’altro e ridurre i
viaggi in macchina (per il lavoro, il tempo libero...). Non risolveremo il
problema, ma faremo la nostra parte. E a Dio non interessa che risolviamo i
problemi, interessa che facciamo la nostra parte.
c)
Trovare proposte interessanti, a livello di Unità Pastorale o di
Diocesi per investire di più sull’agricoltura organica e danno dei pesticidi e
prodotti chimici.
d)
E per ultimo un’atteggiamento che non ha nulla di romantico o
banale. Ritorniamo a stupirci per le bellezze della natura e del creato. Un
sole che sorge, un gruppo di nuvole che formano disegni nel cielo, una montagna
piena di neve al tramnto illuminata di rosa o rosso, un campo di papaveri o di
fiori dai vari colori... Lo stupirsi davanti queste
meraviglie di Dio diventa come una preghiera a Lui che è l’Unico, in realtà,
capace di cambiare il cuore dell’uomo perché non distrugga più il creato.
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