. Ruy Barbosa, 30 de Ottobre 25
            Ciao a tutti, 
è da molto tempo che non scrivo e mando notizie, ma è perché sono stato in
Italia che non è molto, ma oggi voglio mettere mano alla tastiera del computer
e provare a descrivere quello che è successo 
ieri in Rio de Janeiro in due favelas molto conosciute, quella di Alemão
e quella di Penha. E’ stata definita come una “Mega Operazione, 121 morti nelle
favelas di Alemão e della Penha contro il Comando Rosso”. Chi è il Comando
Rosso?   E’ una delle due maggiori organizzazioni
criminose nate in Brasile negli anni settanta. Ma voglio raccontarvi quello che
un fotografo, che ha vissuto e vive in favela, ha visto e documentato. 
            Il suo nome è Bruno Itan,
nato a Recife, Pernambuco, da bambino si è trasferito con la famiglia a
Complexo do Alemão, una favela di Rio de Janeiro. Ha iniziato a fotografare nel
2008 partecipando a un corso  offerto dal
Governo Federale nella comunità. È il fondatore del progetto Olhar Complexo,
(guardare complesso) che offre corsi di fotografia gratuiti a bambini e ragazzi
delle favelas di Rio de Janeiro e di tutto il Brasile. Nel suo primo libro,
"Olhar Complexo", Bruno si concentra sul ritratto della realtà e
della vita quotidiana delle favelas brasiliane, evidenziando attraverso le sue
immagini la felicità, il potenziale e la semplicità di questi territori e dei
loro abitanti.                                       
Dopo la dichiarazione del governatore di Rio de Janeiro, Cláudio Castro
(PL) che ha definito l'operazione un "successo" e un "duro colpo
alla criminalità", sono intervenuti i movimenti per i diritti umani che
hanno affermano che si è trattato di un massacro e ne mettono in dubbio
l'efficacia come politica di sicurezza, un punto su cui il fotografo concorda.    
"Qui in Brasile non esiste la pena di morte. Qualsiasi tipo di
criminale, indipendentemente da ciò che ha fatto, deve essere arrestato,
portato davanti alla giustizia e la sua condanna deve essere determinata. Ma
ieri qui, nel Complexo do Alemão e nel Complexo da Penha, è stata eseguita la
pena di morte", racconta Bruno Itan. "La polizia stessa ha stabilito
questa pena di morte. Hanno deciso chi sarebbe morto e chi sarebbe
sopravvissuto. Non appena venne a conoscenza del numero di 2.500 agenti di
polizia coinvolti nell'opera-zione, Itan decise di lasciare la sua casa nella
favela di Rocinha, nella Zona Sud di Rio, dove vive oggi, e di recarsi sul
posto. Al suo arrivo, verso le 10 del mattino, trovò auto bruciate, segni di
proiettili e residenti in preda al panico. 
"Ho visto la sparatoria, ho visto le auto bruciate, ho iniziato a
registrare. Anche i residenti hanno segnalato molta brutalità da parte della
polizia.  "All'ospedale Getúlio Vargas,
riferisce che i cadaveri arrivavano senza sosta. Fino a quel momento, il
bilancio ufficiale delle vittime era di 64. "Sono arrivati molti
cadaveri, compresi quelli di agenti di polizia", racconta il fotografo.                  
Secondo Itan, alla stampa è stato impedito di avanzare verso Penha.
"La polizia ha sparato in aria e non ci ha lasciato passare. Hanno fatto
una fila e hanno detto: 'La stampa non passa da qui'". Essendo cresciuto
nella favela, ha potuto accedere al luogo. "Sono arrivato nella comunità,
dove sono rimasto fino all'alba a registrare". Fu durante la notte che i
residenti iniziarono a cercare i dispersi, un numero che non corrispondeva al
numero di morti registrati fino a quel momento. 
Al mattino presto, le famiglie stesse iniziarono le ricerche nella Serra
da Misericórdia, che divide le favelas di Penha e Alemão.                           
"I residenti hanno portato almeno 55 corpi in Praça São Lucas, sulla
Estrada José Rucas, una delle strade principali della regione." "Le
famiglie sono andate da sole a recuperare i corpi. Sono riuscite ad arrivare lì
con motociclette, auto, hanno preso dei teli per coprire i corpi e portarli
qui, nella piazza del Complesso Penha", racconta Itan.  "Inizialmente sono arrivati circa 20
corpi. E poi, cavolo, non si è più fermato. Erano 25, 30, 35, 40, 45... Sono
vite, indipendentemente da ciò che hanno fatto."    
La Polizia Civile di Rio de Janeiro aprirà un'indagine per verificare la
rimozione dei corpi dei morti dal bosco da parte dei residenti, per determinare
se ci sia stata una presunta "frode procedurale", secondo il delegato
Felipe Curi, Segretario della Polizia Civile di Rio de Janeiro. Curi ha
affermato che i corpi esposti in luoghi pubblici sono stati manipolati.
"Abbiamo immagini di tutti loro [i cadaveri] vestiti con tute mimetiche,
con giubbotti antiproiettile, mentre portavano con sé queste armi da guerra.
Poi alcuni di loro sono apparsi con indosso solo biancheria intima o
pantaloncini, a piedi nudi, senza niente addosso. In altre parole, è un
miracolo che si è verificato", ha detto. "Sembra che siano entrati in
un portale e si siano cambiati d'abito. Abbiamo immagini di persone che hanno
rimosso i corpi dai boschi e li hanno messi in strada, spogliando i
criminali", ha detto il capo della polizia.                                                                                                  
Il fotografo richiama anche l'attenzione sul numero di corpi accoltellati a
morte, uccisi a colpi di macete.  "Non
è normale. È probabilmente la più grande operazione nella storia di questo
paese", dice Itan, ricordando il massacro di Carandiru, quando 111
detenuti furono uccisi per sedare una ribellione nel centro di detenzione di
San Paolo nel 1992.                                                                                   
"[I corpi] erano senza testa, corpi completamente sfigurati [...]
senza volto, senza metà volto, senza braccia, corpi senza gambe", dice.
"E ciò che ha attirato la mia attenzione è il numero di corpi con ferite
da arma da taglio; ci sono molte foto in cui si vede che si trattava di
un'arma, l'effetto di un'arma da taglio, capisci?" Nella sua memoria,
dice, "l'odore di morte" è rimasto radicato. "Dove sono ora, non
ci sono più corpi, ma l'odore rimane persino nella psiche", dice.  "Sono stato profondamente colpito dalla brutalità.
Il dolore delle famiglie, le madri che svenivano, le mogli incinte che
piangevano, i padri indignati... Avrei potuto essere uno di loro. Se non avessi
saputo di fotografia, all'improvviso potrei essere uno di loro." Per lui,
la politica di sicurezza nelle favelas continua a basarsi sulla violenza.
"Purtroppo, avviene sempre attraverso il mirino di un fucile. Non avviene
mai attraverso l'azione sociale, l'istruzione, l'alloggio, la salute o la
cultura, che è ciò di cui la favela ha bisogno per salvare queste
persone."
Bruno Itan, che ha documentato altre operazioni, come quella di
Jacarezinho, che ha causato 28 morti nel maggio 2021 ed è stata considerata la
più mortale nella storia della città fino ad allora, afferma che nulla è
paragonabile a ciò a cui ha assistito il 28 ottobre.
"Pensavo di aver fatto lì la peggiore operazione della mia vita. Nulla
è paragonabile a ciò che ho visto qui oggi", afferma. Mercoledì scorso (29
ottobre), la Procura Federale (MPF) ha chiesto all'Istituto Forense di Rio de
Janeiro (IML) di accedere entro 48 ore a tutti i dati dell'esame forense dei
corpi delle vittime della mega operazione di polizia condotta a Rio de Janeiro.
Il documento chiede inoltre al governo dello Stato di Rio de Janeiro di
dimostrare di aver seguito le decisioni della Corte Suprema Federale (STF) nel
caso ADPF 635, un'azione che ha messo in dubbio la letalità della polizia di
Rio de Janeiro.
 L'ADPF (Argomentazione di
Inosservanza del Precetto Fondamentale) ha costretto il governo di Rio a
presentare un piano con regole e parametri per l'azione di polizia, che è stato
accettato dalla Corte Suprema ad aprile La Procura Federale e l'Ufficio del
Difensore Civico dell'Unione hanno chiesto al governo di Cláudio Castro di
chiarire e dimostrare di aver seguito i punti previsti dal piano, come l'uso di
vídeo camere corporali da parte degli agenti di polizia; la presentazione di
una giustificazione formale per l'operazione; e la presenza di ambulanze nelle
zone colpite.       
Bruno Itan vede tutto con stanchezza e frustrazione. "Se la società
pensava di aver vinto, di aver trionfato, credo che tutti abbiano perso",
afferma.   "Vi garantisco che quando
qualcuno muore nel narcotraffico, ce ne sono altri due o tre che entrano al
loro posto."
E la chiesa del Brasile che cosa dice? Il cardinale di Rio de Janeiro, Orani
João Tempesta,  invita ad essere
costruttori di pace, di superare l’odio, la vendetta e l’indifferenza che
corrodono il tessuto sociale; è urgente che uniamo le nostre forze per la
riconciliazione, per il rispetto mutuo e, soprattutto, per la protezione della
vita, per la promozione della giustizia e per la costruzione di una società
pacifica, che promuova la dignità della persona umana, specialmente dei più
poveri e per i più deboli.   Interessante,
ma non si sbilancia affatto contro l’abuso di potere della polizia,
dell’esercito, e del Governatore, che accusa lo Stato (Lula) di non avere dato
i blindati per potere entrare con maggior facilità nelle favelas, logiche che
non lasciano scampo ad un modo di affrontare le situazioni se non con la forza.
Non voglio giudicare il Cardinale, ma infelicemente anche a livello di chiesa brasiliana,
a volte rispondiamo alle situazioni con delle belle parole, ma spesso non siamo
presenti nei luoghi dove la dignità umana è calpestata, dove le ingiustizie
regnano sovrane e dove i poveri sono calpestati. 
Ma, grazie a Dio, che papa Leone XIV, nella sua Esortazione Apostolica
Delexit-te, ci dice questo: 
“La condizione dei poveri rappresenta un grido che, nel corso della storia
umana, interpella costantemente le nostre vite, le nostre società, i nostri
sistemi politici ed economici e, soprattutto, la Chiesa. Nei volti feriti dei
poveri troviamo impressa la sofferenza degli innocenti e, quindi, la sofferenza
stessa di Cristo. Allo stesso tempo, dovremmo parlare, e forse più
precisamente, degli innumerevoli volti dei poveri e della povertà, poiché si
tratta di un fenomeno multiforme; infatti, esistono molteplici forme di
povertà: quella di chi non ha i mezzi di sussistenza materiale, la povertà di
chi è socialmente emarginato e non ha i mezzi per esprimere la propria dignità
e le proprie capacità, la povertà morale e spirituale, la povertà culturale,
quella di chi si trova in condizioni di debolezza o fragilità, sia personale
che sociale, la povertà di chi non ha diritti, né spazio, né libertà. 
            In questo senso, si può
affermare che l'impegno per i poveri e per lo sradicamento delle cause sociali
e strutturali della povertà, sebbene abbia acquisito importanza negli ultimi decenni,
è ancora insufficiente; Poiché le società in cui viviamo spesso privilegiano
linee politiche e standard di vita caratterizzati da numerose disuguaglianze,
alle vecchie forme di povertà che abbiamo evidenziato e che cerchiamo di
combattere se ne aggiungono altre nuove, a volte più subdole e pericolose. Da
questo punto di vista, è lodevole che le Nazioni Unite abbiano inserito
l'eliminazione della povertà tra gli Obiettivi di Sviluppo del Millennio.
            L'impegno concreto verso i
poveri deve essere associato anche a un cambiamento di mentalità che ha
implicazioni culturali. Infatti, l'illusione di felicità che deriva da una vita
agiata porta molte persone ad avere una visione dell'esistenza incentrata sull'accumulo
di ricchezza e sul successo sociale a tutti i costi, da raggiungere anche
sfruttando gli altri e approfittando di ideali sociali ingiusti e di sistemi
politico-economici che favoriscono i più forti. Così, in un mondo in cui i
poveri sono sempre più numerosi, vediamo paradossalmente crescere alcune élite
benestanti, che vivono in una bolla di condizioni eccessivamente agiate e
lussuose, quasi in un mondo a parte rispetto alla gente comune. Ciò significa
che persiste una cultura – a volte ben mascherata – che scarta gli altri senza
nemmeno rendersene conto, tollerando con indifferenza milioni di persone che
muoiono di fame o sopravvivono in condizioni indegne di esseri umani. Qualche
anno fa, la foto di un bambino sdraiato a faccia in giù, senza vita, su una
spiaggia del Mediterraneo suscitò grande sgomento; purtroppo, a parte un po' di
momentanea commozione, eventi simili stanno diventando sempre più irrilevanti,
come se fossero notizie di secondo piano. (DT. 9-10-11) Sarà che i “crocifissi”
di Rio, non sono i volti di tanti uomini e donne, che sono frutto delle
ingiustizie provocate da “Ideali sociali ingiusti e sistemi politio-economici
che favoriscono i più forti, mascherandoli come “operazioni per la sicurezza”?
Per la sicurezza di chi? Dei più forti…
Um abraço e bom final de semana, com as festas de Todos os Santos e a
Comemoração dos Fieis Defuntos. Atè a próxima, pe. Luís, irmão da Caridade e
vosso irmão.                                                                                           
 




