martedì 25 febbraio 2025

PENSIERI E RIFLESSIONI DAL VIAGGIO IN AMAZZONIA

 




Don Luigi Gibellini


Ciao a tutti,

sono rientraro da Manaus e adesso sono in Salvador aspettando di partire per rientrare a Ruy Barbosa domani. Tento di mettere insieme alcuni pensieri e riflessioni che ho elaborato in questi giorni passati in Santo Antonio e in Manaus. Bisogna prenderli con molta prudenza e con lo sguardo di uno che è arrivato in un luogo un poco sconosciuto e con tutta una realtà, cultura e tradizioni che non conoscevo e che ancora adesso non conosco. Quindi prendete tutto con cautela e con le pinze.

La prima cosa che mi viene da dire di botto, e che mi ha colpito molto positivamente, è stato vedere, all’arrivo al porto di Santo Antonio, dopo 29 ore di lancha, il volto amico di don Paolo Bizzocchi che mi stava aspettando, e che con rapidità mi ha abbracciato e preso la valigia; parabéns. E’ sempre bello sentirsi accolti, aspettati e sentirsi a casa. Dopo tre giorni di viaggio e decisamente stanco, l’accoglienza diventa un buon toccasana e rinfranca del tempo trascorso tra macchina, aereo e barca. Poi arrivati in casa l’incontro con don Gabriele, veterano della missione brasiliana, uno di quelli che don Paolo Ronzoni, definirebbe “dinosauri”, ma sempre ben accogliente e pungente. La casa parrocchiale ha avuto una grande riforma strutturale, cioè rifatto completamente il tetto e, adesso non piove più in casa, ma continua a piovere abbondantemente tutti i giorni; questa è stata una novità di questo tempo, cioè la quantità di pioggia quotidiana che è caduta nel tempo in cui mi sono fermato, e grazie a Dio, perché il fiume era ben basso e adesso ha ripreso il livello normale. 

Mi sono inserito a poco a poco nel quotidiano della vita parrocchiale, che in quel momento stava celebrando vari novenari nelle comunità della città; São Sebastião, poi di seguito Nossa Senhora da Saúde, concludendo con São Lazaro, il povero, non quello resuscitato da Gesù, ma quello della parabola. 


Questo è stato un modo di entrare nella vita delle comunità in un momento particolare e di più grande partecipazione, ma che ti dà il modo di incontrare gente, conoscere storie, vivere quello che è la religiosità popolare, a volte discutibile, ma che riflette un volto concreto del cammino ecclesiale e comunitario. Per certi aspetti non è molto differente dalla realtà di Ruy Barbosa, dove i novenari e le trezene a volte diventino più importanti di Gesù Cristo, o dove certe persone riesci ad incontrarle solo in questi momenti ed eventi. Ma, nello stesso tempo, questi momenti diventano anche opportunità di evangelizzazione, in modo differente, come il proporre una Liturgia Penitenziale, con assoluzione comunitaria, sottolineando la Misericordia di Dio, o una Adorazione Eucaristica sottolineando che l’eucaristia non si “adora”, ma si spezza e si condivide, difatti mi è piaciuto vedere che alla fine della celebrazione, si è spezzato l’ostia grande e si è distribuita la comunione.  Segni belli che aiutano la comunità a sentirsi comunità che celebra, ascolta la parola e che vive la condivisione e l’attenzione alla vita, qualsiasi essa sia. 
Dentro a tutto questo, ho però sperimentato un certo tipo di solitudine, una realtà che di fatto è chiusa in sé stessa e che non ha molte possibilità di confronti e di spazi fuori dalla realtà stessa della parrocchia e tra i due sacerdoti che stanno portando avanti questa missione. Credo che il lavoro fatto in questi 5 anni dai due don Gabriele è stato un lavoro di ristrutturazione ecclesiale, tentando di ridare forza alle Comunità Ecclesiali di Base (che oggi si chiamano Comunità Ecclesiali Missionarie), come protagoniste dell’annuncio del Vangelo e della scelta Ministeriale che si tenta di fare, con grosse difficoltà e accoglienza. E’ più facile dire il rosario alle 4 del mattino con frei Gilson, che assumersi responsabilità nella vita della comunità. Non sono due cose in contrapposizione, ma a volte prevale un certo tipo di tradizionalismo, e non aiuta ad essere cristiani che mettono insieme la fede con la vita. 
Pensando al tempo passato, ma non con saudade, nella diocesi di Ruy Barbosa, avere la presenza di preti, suore, laici, famiglie, visitatori, era un modo di esprimere l’essere chiesa diocesana in una forma completa, bella e speciale; qui mi sembra che manchi qualcosa che esprima questa diversità di vocazioni, all’interno della stessa missione; la prospettiva di avere dei volontari che possano passare dei periodi lunghi qui a Sant’Antonio mi sembra un poco svanita, o per lo meno un po' meno concreta o reale. Quindi quello che si prospetta è una missione ridotta alla presenza di soli sacerdoti, che al momento attuale diventa anche difficile trovare. Non è un giudizio, ma vorrebbe essere un confronto e una riflessione aperta, qui e nello stesso tempo in diocesi di Reggio Emilia-Guastalla.
Nel tempo che sono stato in Santo Antonio, sono arrivate anche suor Alessandra (CdC) e Isabela, novizia brasiliana, che si sono fermate una quindicina di giorni; credo che questo ha fatto si che la missione acquisisse un volto più diocesano. 



Con Gabriele ho fatto anche un giro per visitare alcune comunità ribeirinhas, cioè quelle sul fiume, ed è molto affascinante, ma nello stesso tempo molto pesante e richiede con certezza molta pazienza e perseveranza; il viaggiare sul fiume ti dà il senso della fragilità e tutto quello che ti circonda ti dà il senso della immensità, di acqua, di foresta, di vita e di “nulla”, perché per chilometri e chilometri non vedi altro che “acqua, foresta, cielo”. 
Poi con Paolo siamo andati a visitare anche una “aldeia”  (villaggio) della tribù Kokama a pochi chilometri di Santo Antonio, incontrando il Caxique e la sua familia, che ci hanno raccontato un po' della vità della comunità, con le luci e le ombre, come è strutturata la convivenza dentro la comunità e come sono le relazioni con le altre comunità indigene dell’Amazzonia. Al centro dell’aldeia una grande struttura rotonda dove avvengono tutte le cose importanti della comunità: feste, incontri, assemblee, decisioni e dove tutti hanno diritto di esprimersi. C’è anche la scuola, dove viene insegnata la lingua indigena Kokama, e il portoghese; poi i segni rituali che determinano la tua identità e le tue caratteristiche, tipo i segni della donna sposata, o non sposata, del guerriero…non è tutta poesia, perché il caxique ci ha anche raccontato le difficoltà che hanno incontrato con persone che volevano creare divisioni dentro la comunità. 

Partito da Santo Antonio sono arrivato a Manaus da don Paolo Cugini, bairro Compensa, periferia di questa capitale di 2.200.000 abitanti, dove la droga e la violenza sono di casa e determinano la vita di tante persone. Realtà decisamente differente, dove anche la vita delle comunità è strutturata, dove l’impegno dei laici è ben visibile; anche qui non tutto è poesia, ma si percepisce come chi ha lavorato prima (gesuiti) ha cercato di formare laici impegnati e responsabili. Ho avuto anche il tempo di andare con don Paolo alla Facoltà Teologica, dove oltre ai seminaristi, partecipano ai corsi anche tanti laici. L’insegnamento per don Paolo è certamente la priorità e con certezza ha le capacità di fare questo, e mi sembra che sia ben inserito e apprezzato dagli studenti, al di là delle urla che a volte si sentono dentro e fuori dalla sala di aula…kkkk
Concludo con un sogno, o meglio, un desiderio, quello di potere visitarci alcune volte all’anno, tra quelli che vivono a Santo Antonio, con don Paolo Cugini in Manaus e noi della Bahia, per sentirci sempre più chiesa diocesana in questa bella terra brasiliana, con le sua diversità, le sue sfide e per condividere la vita. Se Deus quiser, isso vai acontecer. 
Daqui a pouco vai começar a Campanha da Fraternidade 2025 que vai enfrentar o tema: “Fraternidade e Ecologia Inegral” e como lema: “Deus viu que tudo era muito bom” (Gn 1,31). O Objetivo Geral è:  “Promover, em espirito quaresmal e em tempos de urgente crise socioambiental, um processo de conversão integral, ouvindo o grito dos pobres e da Terra”. Vamos continuar defendendo a Casa Comun e que todos possam fazer passos concretos porque isso possa acontecer. Bom caminho quaresmal e que este tempo possa ser um tempo de conversão e mudança de vida. Um abraço fraterno e até a próxima, pe. Luís irmão da Caridade e vosso irmão.



lunedì 3 febbraio 2025

DON GIBELLINI: DALLA BAHIA IN VISITA ALL'AMAZZONIA

 



Santo Antonio do Iça, 3 de fevereiro 2025

Luigi Gibellini

Ciao a tutti,

vi scrivo dall’Amazzonia, dove sono venuto per visitare la missione Reggiano-Guastallese, composta adesso da don Gabriele Carlotti e don Paolo Bizzocchi arrivato a novembre 2024; sono arrivato il 18 gennaio e mi fermerò qui con loro fino al 18 febbraio; poi prenderò la barca per arrivare a Tabatinga e di là in aereo per raggiungere Manaus dove mi fermerò alcuni giorni con don Paolo Cugini, prete Reggiano-Guastallese che insegna alla Facoltà Teologia Cattolica ed è parroco di una parrocchia situata in un bairro molto povero e violento a causa del traffico della droga che si chiama “Compensa”. Rientrerò in Bahia il 23 di febbraio.

Il motivo per cui abbiamo pensato questa visita, insieme con don Gabriele, le sorelle e i volontari italiani in Bahia, al CMD e alla Congregazione Mariana delle Case della Carità,  è stato il dare un appoggio per l’inserimento di don Paolo, perché lui possa avere il tempo necessario per studiare il portoghese, capire come inserirsi in questa nuova realtà e non rischiare di buttarsi subito nel servizio pastorale. Sono arrivato il 18 gennaio dopo un viaggio di lanche (una barca veloce) di 29 ore, partendo da Manaus dove mi ero fermato un giorno ospitato da don Paolo Cugini che vive là da 2 anni, (ed insegna alla Facoltà Teologica Cattolica, vedi sopra) .

La realtà di Santo Antonio do Iça è decisamente differente dalla realtà baiana dove vivo, e dove, a differenza di qua, l’acqua è decisamente un bene prezioso e raro, mentre in Amazzonia non manca, anzi è super abbondante, sia quella che si incontra nel fiume (rio Solimões e rio Iça) che quella che cade abbondantemente quasi tutti i giorni dal cielo. La foresta, il verde, l’esuberanza della natura, la bellezza del fiume,  impressiona e ti mette decisamente in difficoltà nel vedere come sei piccolo a confronto con la grandezza che ti circonda; i volti e le diverse tribù, con la loro lingua e con le diverse tradizioni ti richiamano a un mondo che sembra scomparso, ma che qua è ben visibile e toccabile. Sono stato con don Gabriele in visita ad alcune comunità riberinhe (che vivono sulle rive del fiume Iça) e impressiona il vedere come le case sono costruite sulle palafitte per difendersi dalle acque del fiume, che quando cresce arriva alle porte delle case, e vedere come la gente  vive di quello che riesce a coltivare e pescare e quello che la foresta offre gratuitamente; è uno stile di vita che ti riporta un poco indietro nel tempo e ti affascina, e nello stesso tempo ti provoca. 



Poi, non è tutta poesia, ma la realtà è anche composta da tante povertà: umane, sociali, economiche, strutturali ed ecclesiali. All’interno del continente Brasile, anche l’Amazzonia riflette in tutte le sue sfaccettature, le ricchezze e le povertà, le cose positive e quelle negative, i sogni e le delusioni…i problemi della corruzione, della politica come luogo di potere, lo sfruttamento esagerato senza nessun controllo delle risorse e il cambiamento di chiesa, affettano anche la realtà Amazzonica. 

Di fronte a tutto questo, parlando con Gabriele e Paolo, mi chiedo e gli ho chiesto, che tipo di presenza dobbiamo essere adesso dentro questo contesto sociale e dentro questa chiesa?  E’ una domanda da 10.000 punti, ma che è necessaria per non perdere di vista l’orizzonte di una missione che deve aiutarci a rinnovarci e lanciare le “reti in acque profonde…” come ha ricordato don Paolo Bizzocchi nella sua ultima lettera, dopo la settimana di ritiro spirituale com i preti della Diocesi di Alto Solimões. 



Mi sembra di potere dire che una delle risposte possibili sia quella di “una presenza, di una prossimità, di esserci, tentando di camminare con una chiesa che sta cambiando ma che nello stesso tempo, forse, e questo non è una pretesa, ripeto forse, ha bisogno di sentire e vedere anche altri modi di essere chiesa, come dice papa Francesco, “essere chiesa povera per i poveri”, incontrando tante repulsioni e tanti contrasti: ci sono ancora, grazie a Dio,  profeti e profetesse nelle Americhe, profeti come padre Julio Lancelotti che è voce di tanti poveri, marginalizzati, che difende coloro che sono discriminati e ritenuti pericolosi, come il “popolo di strada o gli abitanti di Cracolandia (quartiere di San Paolo dove c’è il maggior traffico di Crak)”, dei prigionieri e dei torturati, ancora oggi, nelle carceri brasiliane, e che annuncia un vangelo che è scomodo e che non si conforma con l’andazzo di oggi;  e profetesse come la Pastora americana Mariann Edgar Budde,  vescova episcopale della capitale Usa. Nel suo discorso, la vescova ha rimproverato il nuovo leader per i decreti da lui firmati contro le persone LGBTQ+ e i migranti. "Le chiedo pietà, signor Presidente. Ci sono bambini gay, lesbiche e transgender nelle famiglie democratiche, repubblicane e indipendenti". In America ''si avverte in tutto il Paese'' un senso di paura e ha difeso i lavoratori stranieri che "potrebbero non essere cittadini o non avere documentazione adeguata (...) ma che la stragrande maggioranza dei migranti non sono criminali".  La difesa dell’uomo e della donna, qualsiasi esso sia, deve essere sempre una priorità della chiesa e di ogni governo. Come tutti i profeti/tesse, non hanno vita facile, sono voci scomode e spesso sono attaccati dai potenti e infelicemente anche dalla stessa chiesa. 



Continuiamo a credere che la chiesa o è missionaria o non è chiesa, o che continua ad essere profetica o diventa una voce qualunque e banale, e che quello che identifica profondamente l’essere umano e l’essere cristiano è l’amore. Finisco con una frase dell’enciclica di papa Francesco “Delixit nos” al numero 21:“  Il nucleo di ogni essere umano, il suo centro più intimo, non è il nucleo dell’anima ma dell’intera persona nella sua identità unica, che è di anima e corpo. Tutto è unificato nel cuore, che può essere la sede dell’amore con tutte le sue componenti spirituali, psichiche e anche fisiche. In definitiva, se in esso regna l’amore, la persona raggiunge la propria identità in modo pieno e luminoso, perché ogni essere umano è stato creato anzitutto per l’amore, è fatto nelle sue fibre più profonde per amare ed essere amato”.

Um abraço a todos e espero que este Ano Santo da Esperança possa encher os nossos corações de gratidão e que cada um de nós possa se tornar anunciador de esperança nos lugares onde a esperança acabou ou está acabando.  Atè breve, pe.Luis irmão da Caridade e vosso irmão.