Questa è stata, forse, l’affermazione più usata per
parlare di questo vescovo apparentemente tranquillo. E lui ce ne ha dato
l’occasione, lasciandoci proprio la domenica del Buon Pastore, quest’anno coincidente
con il 25 aprile, festa della Liberazione. Forse non è un caso, solo è “buon
pastore” colui che vuole le sue pecore non serve, ma amiche, libere di uscire
ed entrare, conoscitrici e compartecipi del suo amore fatto di scelte concrete.
Così dovrebbe essere ogni vescovo, ogni prete, ogni animatore e animatrice,
ogni cristiano discepolo del Signore: umile, distaccato e tenace.
L’umiltà di Dom André è proverbiale, ma qui vorrei ricordare appena un
fatto personale. Sono stato parroco a Ruy Barbosa per due anni e mezzo,
abitando in casa con lui e il diacono Genival. Erano gli anni appena dopo il
grande giubileo del 2000, quando la Chiesa brasiliana aveva lanciato il
programma pastorale: “Una Chiesa di Comunità Ecclesiali di Base, anche nelle
città”. Perché la realtà rurale, di fatto, era già costituita da piccole, medie
e grandi comunità. Così in quegli anni, continuando ad accompagnare le comunità
della campagna, abbiamo fatto un progetto per suddividere la città di Ruy
Barbosa in Comunità Ecclesiali di Base, una per ogni quartiere. Alcune già
esistevano e altre sono state incentivate, fino a costituirne 18 nel territorio
cittadino, ognuna con la sua cappella di riferimento per la liturgia, la
catechesi e gli incontri di formazione. La parola chiave era decentralizzare,
mantenendo al centro solo alcuni incontri di formazione dei lideres e di
coordinazione. Furono anni belli e impegnativi! Forte dell’esperienza fatta nella
parrocchia di Utinga-Bonito-Wagner, dove la messa domenicale si celebrava solo
al mattino nella chiesa parrocchiale, e la domenica sera le comunitità di tutti
i quartieri celebravano la Parola e condividevano l’Eucaristia, senza il prete,
ma con i loro ministri riconosciuti. Dicevo, forte di questa esperienza a un
pranzo in casa, presente il diacono Genival difensore dell’ortodossia e
dell’ortoprassi, avanzai la proposta di chiudere la Cattedrale la domenica
sera, lasciando solo la messa al mattino, per evitare che la gente venisse al
centro (perché c’era il prete), lasciando la propria Comunità. Mi ricordo molto
bene il momento di silenzio, l’aria pesante e lo sguardo inferocito del diacono...
Dom André, appena abbassò lo sguardo e a voce bassa e tranquilla, quase
chiedendo il permesso di parlare, disse: “La mia preoccupazione in tutti questi
anni, nonostante i pochi preti in diocesi, è sempre stata che almeno non
mancasse la messa nella Cattedrale; almeno fino a quando sarò vescovo di Ruy
Barbosa vorrei continuare questo servizio, se me lo permettete...”. La statura
di una umiltà disarmante! Chi avrebbe potuto negarlo...
Dom André distaccato dal suo ruolo. Non solo per il suo modo di vestire, come
noi, come tutti. Solo usava una piccola croce, prima sul taschino della camicia
e poi al collo, una croce come quella che in molti usano, di legno con un
cordone di náilon. Ma questo alla fine è anche insignificante, come il fatto
che regolarmente concelebrava con noi, senza necessariamente presiedere la
liturgia, ma valorizzando la presenza dei suoi preti. La questione davvero
importante è che nelle assemblee, pur mantenendo il suo servizio di guida e
pastore, non ha mai avuto l’arroganza di imporre la sua opinione o la sua
visione delle cose. Di vescovi così ne ho conosciuti pochi! Si è sempre seduto
all’interno dello stesso cerchio a cui partecipavano laici e laiche, preti e suore.
Ha sempre partecipato dei gruppi di lavoro offrendo tutta la ricchezza del suo
pensiero e della sua visione pastorale, una voce in più per formulare una
decisione finale, una voce autorevole, ma mai di imposizione, piuttosto
rispettosa fino all’eccesso di quello che l’assemblea, come un corpo solo,
stava esprimendo, anche se non sempre come l’avrebbe, forse, voluto lui. Questo,
è il rispetto profondo dello Spirito che si manifesta nel corpo della Chiesa
fatto di tutti i suoi membri, tutti ugualmente riconosciuti, ascoltati e
valorizzati nei loro doni specifici. Cosi, ciò che non si impone (spesso poi
disatteso nella pratica), viene riconosciuto per il suo valore intrinseco.
Ma non pensiamo che il nostro
vescovo accettasse tutto, senza troppi problemi, una sua caratteristica
profonda era la tenacia: la pazienza
di saper aspettare i tempi maturi, senza rinunciare alla bontà di una scelta pastorale
o sociale, ma difendendola con perseveranza. Alla fine Dom André ‘non ci ha mai
mollato’, era capace di riproporre con amorevolezza le sue convinzioni, anche se
non da tutti erano accettate e condivise. È la fermezza delle cose vere che si
impongono per loro stesse, senza bisogno dell’autorità, ma solo con la tenacia
dell’annuncio. Come la Parola del Regno che chiede a tutti noi di credere e di
annunciare, poi sarà lei a produrre frutti di cambiamento nel cuore delle
persone.
Tutto questo, e forse molto
altro, ha trasformato l’odore delle pecore, per qualcuno un poco forte, in
profumo gradito a Dio e al suo popolo, la Chiesa. Grazie, Dom André per aver
segnato evangelicamente la nostra Diocesi di Ruy Barbosa, sorella nella fede e
nell’amore per tanti anni, forse non sempre ascoltata, ma umile, distaccata e
tenace nella sua testimonianza di Chiesa sorella.
Pe.
Gabriel Carlotti
Santo Antonio do Içá –
Amazzonia, 05 maggio 2021
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